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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2014 alle ore 11:04.

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È il 12 febbraio e bevo vino rosso ghiacciato nella mia cabina, sul ponte 11 della Grimaldi Grande Cameroon, 40 metri sopra le acque placide dell'Atlantico meridionale. Se mi affaccio all'oblò vedo in lontananza i grattacieli illuminati di Vitória, sulla costa brasiliana; abbassando lo sguardo non vedo niente, perché è notte, ma di giorno il mare è fitto di squali.

Sono l'unico passeggero a bordo di una nave cargo. Mi sono imbarcato un mese fa ad Anversa; dovevo arrivare a Rio una settimana fa passando per Amburgo, Dakar, Banjul e Freetown. Ma ora siamo all'ancora da tre giorni, e non sappiamo quando avremo il permesso di entrare in porto. A bordo vige una pazienza che è metà saggezza e metà fatalismo: tante cose possono influire sui piani (mare, motori, clandestini, capricci degli spedizionieri, del porto, dell'armatore, del comandante) che nessuno si azzarda a fare previsioni. Fare domande è una cosa impropria, una violazione dello spirito del luogo, come chiedere il significato di una performance di arte contemporanea.
E quindi mi lascio cullare dalle onde e non chiedo quando sbarcherò. Ho un volo per il Cile domani; se lo perdo dovrò raggiungere Santiago con un autobus che attraversa il Sudamerica in 68 ore. Bevo altro vino, cercando di farmi forza e di dirmi che sarà "un'avventura". In fondo è per questo che sono su una nave cargo, no?
Quando diciamo globalizzazione pensiamo a internet e agli aerei, e cioè a cose velocissime e leggere; ma in realtà il 95 per cento del commercio mondiale, per peso, passa dal mare su navi lente e pesanti. Non il modem, ma il container ha portato la rivoluzione alla fine del Ventesimo secolo: permettendo di spostare a basso costo tonnellate di merci da una parte all'altra del mondo (e, nel mentre, sterminando la forza-lavoro più compatta e sindacalizzata d'Occidente, i portuali). Spedire un container da dodici metri dall'Italia al Sudamerica costa mille euro: un centesimo a lattina, se è pieno di birra; un millesimo a busta, se di cocaina.

Una nave come la Grande Cameroon di quei container ne può portare duemila; più altrettante automobili; più treni, camion, yacht e fusoliere d'aereo, che in due settimane attraversano l'Atlantico a un'andatura costante di circa 20 nodi – più o meno la velocità massima di un motorino Ciao.
Le navi cargo oltre all'equipaggio possono imbarcare fino a dodici passeggeri. Sono di solito giramondo che spediscono via mare un camper con cui contano di traversare il Sudamerica; o viaggiatori con un caso particolarmente acuto di paura del volo e un sacco di tempo da perdere. Un francese che ha fatto la traversata qualche anno fa ha scritto che i biglietti – ben più costosi della stessa tratta in aereo – si rivolgono a «contemplativi cronici e iperattivi in disintossicazione». Io non so bene in quale categoria ricado. A un certo punto del mio trentesimo anno di vita mi è sembrata una buona idea. Suppongo che anelassi alla solitudine e ai tempi lenti della traversata oceanica; suppongo che utilizzassi parole come "esperienza" e "avventura". Già.

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