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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2014 alle ore 11:04.

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Eppure l'avventura appariva più che mai lontana mentre mi avvicinavo al porto di Anversa. Persino l'espressione è fuorviante. Come tutti i porti europei, dista almeno mezz'ora di auto dalla città; e quando dici porto stai parlando di un parcheggio lungo trenta chilometri, in cui sfrecciano muletti da container con ruote alte quanto te.
Cammino per un quarto d'ora prima di arrivare alla nave. Costeggio una selva di container impilati a cinque livelli, appena distanti gli uni dagli altri, come il rendering di una città senza le texture delle facciate. Attraverso un parcheggio con migliaia di automobili rese astratte dalla brina sulle guaine di plastica. Ogni tanto un autorimorchio mi passa accanto spruzzando fango e nevischio; per evitarli devo tuffarmi nelle intercapedini fra i "contenitori", perché non c'è marciapiedi.

Alla fine vedo la Grande Cameroon, un ferro da stiro alto quaranta metri e lungo duecento, con una rampa spalancata sul molo tanto vasta da far parere giocattoli i camion che ci entrano sparendo in profondità. Mi sento completamente, drammaticamente alieno – unica persona in un posto pensato per cose, misurato in tonnellate, fuori luogo come un gatto in una navicella Soyuz. Due settimane dopo, vedendo la stessa rampa aperta ad attendermi dopo un giro nella capitale della Sierra Leone, penserò, più semplicemente, "casa".
Schematicamente, dall'alto verso il basso, la Grande Cameroon è un osservatorio di cristallo (il ponte di comando) – appoggiato su un motel (il ponte delle cabine) – appoggiato su un parcheggio a dieci livelli (i ponti auto) – appoggiato su tre hangar sovrapposti (i ponti di carico) – appoggiati su un motore da centomila cavalli – che galleggia. Non riesco a spiegarlo meglio di così.
Le dimensioni sono l'aspetto saliente di ogni cosa, ma i paragoni e gli esempi non rendono giustizia; sopra una certa scala perdono di significato. Un paragone: a stiva piena la nave pesa come un milione di persone. Un esempio: in uno dei ponti erano parcheggiati duecento Suv. In un altro, assicurati sopra una colonna di container, c'erano tre yacht.
Il ponte 11 è l'unico dedicato specificamente agli umani. Si sviluppa intorno a un corridoio a U che dà accesso, sul lato esterno, alle cabine; su quello interno alle mense, agli spazi di servizio e a quelli dedicati allo svago – una sala tv e una palestra con una cyclette, dei pesi e un ping pong che diventerà il centro della mia vita nel prossimo mese. Si apre su una terrazza metallica longitudinale, con due affacci sul mare a dritta e a sinistra in cui fumerò circa ottocento sigarette. Accanto a ognuno di essi dondola una scialuppa di salvataggio arancione, uguale a quella in cui una squadra di Seals ha salvato il capitano Phillips, in un film che a bordo non ha visto nessuno.

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