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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2010 alle ore 08:31.
RANCHO PALOS VERDES (LOS ANGELES) – Forse Mark Zuckerberg ha davvero la coscienza sporca: sotto un fuoco di fila di domande sulla questione della privacy labile di Facebook, ha cominciato a sudare copiosamente. Perle umide che gli scendevano dalla fronte al collo, al punto che improvvisamente ha ceduto: si è tolto la felpa leggera con cappuccio e stemma aziendale sulla fodera celeste interna, che non si leva mai.
E la sua linea di difesa, il balbettio, le frasi sconnesse, l'apparente aria di innocenza, il proclama che le violazioni della privacy su facebook non sono affatto violazioni, ma rappresentano un "modo per abbattere gli ostacoli le rigidita' nel libero scambio di informazioni", non bastano. Anzi: vedersi davanti questo ragazzo di 26 anni – sottolineamo: molto immaturo rispetto a Steve Jobs o Bill Gates quando avevano loro 26 anni - in controllo, padrone di 500 milioni di utenti, non rassicura. Un suo critico feroce, che abbiamo incontrato all'evento D8 di Palos Verdes, dove Zuckerberg ha parlato, Jason Calacanis, dice: " e' patetico, non risponde alle domande piu' elementari... devo dire che e' uno spettacolo alquanto triste".
Puo' sembrare impietoso prendersela con un ragazzo di 26 anni che a partire da 19 ha costruito (in circostanze peraltro controverse) un modello sociale virtuale di amicizie, inviti fra sconosciuti, foto e documenti, che gli da oggi una ricchezza valutata in 11 miliardi di dollari. Ma il tema e' importante. E va ben al di la' dell'eta', della simpatia o dell'antipatia perche' riguarda una questione etica centrale per la nostra societa' nell'era di Internet: le nuove procedure di Facebook dunque, portano a una violazione della privacy o no ? "No - risponde Zuckerberg – per noi e' una questione di apertura...costruiamo il nostro progetto attorno alla gente, per la gente...abbiamo lavorato per due settimane di fila per rispondere ad alcune delle critiche e abbiamo dato agli utenti la possibilita' di limitare l'accesso alle loro informazioni...". Zuckerberg dunque non fa marcia indietro, anzi difende la filosofia dietro la "personalizzazione" che porta a una maggiore vulnerabilita' sui dati personali degli utenti.