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Economia Aziende

Chi vende e chi compra i giornali in Europa e nel mondo

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2010 alle ore 19:24.

Il Consiglio di sorveglianza del gruppo Le Monde, che edita l'omonimo quotidiano parigino, ha accettato l'offerta di ricapitolazione avanzata dal trio di investitori formato da Matthieu Pigasse (banchiere), Xavier Niel (industriale) e Pierre Bergé (che fu cofondatore della maison di Yves Saint Laurent). La sofferta approvazione, 11 voti su 20, è giunta dopo che la cordata formata dal gruppo editoriale spagnolo Prisa insieme con France Tèlecom e con la proprietà del settimanale Nouvel Observateur aveva ritirato la propria offerta di salvataggio economico di Le Monde.

Un ritiro, questo, giunto in seguito al pronunciamento della Società dei redattori di Le Monde che la settimana scorsa avevano votato a enorme maggioranza (più del novanta per cento) il loro gradimento per l'unica altra offerta sul piatto, quella di Pigasse, Niel e Bergé. La battaglia ingaggiata per la ricapitalizzazione del quotidiano francese Le Monde è stata in una certa misura una buona notizia per l'editoria in crisi, visto che sembra essere ancora vivo l'appetito per l'acquisizione di importanti quote dei giornali di cui, nonostante il disastro dei loro conti e dei loro debiti, si continua a riconoscere l'influenza.

D'altra parte, però, le due principali cordate che hanno concorso per l'ingresso in Le Monde si sono misurate con argomenti che hanno poco a che fare con i piani editoriali e molto, invece, con considerazioni di carattere politico; una partita a cui non è rimasto estraneo, suscitando malumori, l'Eliseo. Infatti la cordata che si è appena ritirata dalla corsa godeva di una benedizione, che non è stato possibile dissimulare, da parte di Nicolas Sarkozy, timoroso che sul quotidiano parigino potessero mettere le proprie mani Pigasse, Niel e Bergé, notoriamente vicini ad alcuni leader del Partito socialista e in ogni caso molto ostili al presidente.

Benché fosse difficile tracciare con precisione manichea linee politiche nette tra le due cordate (ad esempio non si può trascurare il fatto che la testata più importante del gruppo Prisa è il quotidiano spagnolo El País, sulla cui vicinanza alla sinistra iberica non si possono nutrire dubbi), l'assemblea dei giornalisti ha trovato più affine alla tradizionale linea di Le Monde l'offerta avanzata dai tre nemici di Sarkozy. E così Prisa, France Télecom e la proprietà del Nouvel Obs non se la sono sentita di provare a forzare la mano, visto che, anche in caso di successo, avrebbero poi dovuto affrontare l'ostilità di una Società dei redattori che gode di un potere di interdizione quasi decisivo.

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Al pomeriggio resistono solo Le Monde e l'Osservatore Romano

Il quotidiano francese Le Monde è affezionato alle proprie tradizioni. Tra cui quella di uscire nel

Tags Correlati: Anna Politkovskaya | France Tèlecom | Gleb Fetissov | Italia | Nouvel Obs | Partito Socialista | Prisa | Sergei Pugaciov | Silvio Berlusconi | Società dell'informazione | Southern Media Group | Vittorio Feltri | Washington Post Company | Xavier Niel | Yves Saint Laurent

 

Le Monde ha sempre difeso la propria tradizione che per alcuni è sinonimo di serietà e autorevolezza, per altri attaccamento a un modello troppo established, poco efficace e tutto sommato non esente da un certo parrucconismo. Fedele alla sua uscita pomeridiana nelle edicole parigine, il quotidiano francese chiude da un decennio i conti in rosso, ha debiti per circa 100 milioni di euro e sconta gravi problemi di bilancio anche nella gestione della propria tipografia.

Mentre si consuma la corsa per controllare Le Monde (e ad accollarsi contestualmente un esborso di quattrini con prospettive imprenditorialmente non entusiasmanti), si assiste alla vendita, non soltanto in Europa, di altre prestigiose testate giornalistiche. Da qualche settimana la Washington Post Company ha messo in vendita il settimanale Newsweek, storico colosso tra i periodici di Oltreoceano. Anche qui si tratta della volontà di arginare il buco nero che si è aperto nei conti del settimanale. In seguito a un recente e apprezzato restyling, Newsweek ha scelto una linea meno attenta alle notizie da ultim'ora – riguardo alle quali un periodico settimanale non può competere con l'immediatezza dell'informazione online – e ha cercato di centrare la propria offerta giornalistica su commenti ragionati e sulla proposta di storie sprovviste dell'ansia generata dalla "data di scadenza" informativa. Ma, benché lo si possa considerare un esperimento editoriale riuscito, la crisi economica della testata ha continuato ad aggravarsi.
In attesa del concretizzarsi di altre proposte di acquisto, per ora sono state respinte le avances di un gruppo cinese che sembrava interessato all'acquisto di Newsweek. Uno dei problemi individuati nelle mire della cinese Southern Media Group è il fatto che questo conglomerato, che pubblica in patria quotidiani e periodici, è controllato dal governo di Pechino. L'eventuale acquisizione della proprietà di una prestigiosa testata occidentale da parte del governo cinese, che non è noto per essere un paladino globale della libertà di informazione, ha destato qualche preoccupazione. Allo stesso modo, anche la recente vendita di alcuni storici giornali europei a magnati russi ha fatto sollevare più di un sopracciglio.
Nel marzo scorso il quotidiano britannico Independent è stato venduto - con i suoi debiti - al prezzo simbolico di una sterlina a Alexander Lebedev. Ricchissimo banchiere e imprenditore, Lebedev, che è anche il proprietario della Novaia Gazeta su cui scriveva la giornalista Anna Politkovskaya, aveva già iniziato l'anno scorso lo shopping nel mondo editoriale inglese che vive gravi difficoltà. Nel 2009, infatti, l'imprenditore russo aveva già acquisito l'Evening Standard, per poi trasformarlo in un giornale free-press.

Sempre nel 2009, un altro miliardario russo, Sergei Pugaciov, ha acquisito attraverso suo figlio Alexander il boccheggiante France Soir, che era scivolato verso dati di vendita prossimi all'irrilevanza, ma era memore dei lontani fasti anni Cinquanta, periodo in cui vendeva un milione di copie al giorno. Come prima iniziativa di salvataggio i Pugaciov hanno provato ad abbassare il prezzo del giornale a 50 centesimi. Già attivi al di qua e al di là della Manica gli imprenditori russi non sembrano ancora sazi di carta stampata, visto che qualche settimana anche nelle trattative per Le Monde fa era comparso un nome russo, quello del banchiere Gleb Fetissov che aveva confidato al quotidiano moscovita Kommersant di aver depositato a sua volta un'offerta, di cui per la verità si sono poi perse le tracce.

Tanti imprenditori investono, con buona pace delle considerazioni più schiettamente monetarie, nella carta stampata che evidentemente, pur acciaccata, continua a garantire prestigio e potere a chi la controlla. Ma in Italia sembra che il premier Silvio Berlusconi accarezzi l'idea di andare controcorrente. Quando qualcuno, colpito dalla scorticante verve giornalistica di Vittorio Feltri, si lamenta degli articoli e dei titoli de Il Giornale con il presidente del Consiglio, lui periodicamente afferma di aver insistentemente consigliato il fratello Paolo, proprietario del quotidiano di famiglia, di mettere in vendita la testata. Ma per ora l'orizzonte prospettato da Berlusconi è rimasto senza conseguenze concrete.

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