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Economia Aziende

Dopo la marea nera Bp le major petrolifere si uniscono per rispondere alle emergenze

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 15:03.

Il disastro ecologico che ha avuto come protagonista British Petroleum ha spinto quattro delle maggiori compagnie petrolifere mondiali - Exxon Mobil, Chevron, Royal Dutch Shell e ConocoPhillips - ad organizzarsi e a mettersi insieme per dare una risposta comune a eventuali future fuoriuscite di greggio nel Golfo del Messico. Nel tentativo di ricostruire la fiducia del governo statunitense, incrinata dal disastro ambientale causato dall'esplosione della piattaforma di Bp, le quattro società intendono ideare e mettere in atto entro il 2012 un sistema di risposta rapida capace di contenere e raccogliere fuoriuscite fino a 100.000 barili di petrolio a una profondità di circa 3.000 metri. Il sistema prevede diverse navi per la raccolta di greggio e un insieme di macchinari subacquei, ed è quindi simile a quello sviluppato da Bp nei tre mesi della crisi della marea nera.

Sarà così costituita Marine Well Containment Company, una joint venture no-profit con un investimento iniziale di un miliardo di dollari per realizzare il sistema, che dovrebbe essere pronto entro 18 mesi. A British Petroleum, ancora impegnata a contenere e ripulire le acque del Golfo, non é stato, però, chiesto di fare parte del consorzio. «Non volevamo distrarli in alcun modo», ha detto Rex Tillerson, amministratore delegato di Exxon, precisando che in caso di bisogno Bp, come le altre compagnie che operano nel Golfo, potrebbe essere autorizzata a utilizzare il sistema.

Intanto British Petroleum si professa ancora una volta ottimista sulla possibilità di arrivare «presto» a una soluzione definitiva della crisi, che comunque rischia di costare il posto all'amministratore delegatoTony Hayward, il quale, secondo il Times, si potrebbe dimettere a ottobre per lasciare il posto all'americano Robert Dudley, attuale responsabile delle operazioni riguardanti la marea nera, anche se la compagnia smentisce seccamente. In accordo e sotto la supervisione del gruppo dei consulenti e dei tecnici della Casa Bianca, il colosso petrolifero britannico ha avuto l'autorizzazione a proseguire anche nella giornata di oggi con il test di integrità sul pozzo Macondo: dagli ultimi rilievi sembra non si registrino più le anomalie sismiche verificate in precedenza.

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Tags Correlati: Adobe Photoshop | American Petroleum Institute | BP | Chevron | Golfo del Messico | Inquinamento | Kent Wells | Marine Well Containment Company | Moody's | Rex Tillerson | Robert Dudley | Royal Dutch Shell | Scott Dean | Stati Uniti d'America | Tutela ambientale

 

Alla luce di questi dati, Bp sta valutando due opzioni per un superamento definitivo dell'emergenza: da un lato l'ipotesi di aprire un nuovo «pozzo di soccorso»; dall'altro
quella di iniettare acqua e materiale solido dalla bocca del pozzo prima di chiuderlo integralmente con una colata di cemento. «Abbiamo un buon presentimento», ha detto il vicepresidente di Bp, Kent Wells, precisando tuttavia che il collegamento tra il pozzo principale e quello di soccorso non potrebbe essere operativo prima della fine di agosto.

British Petroleum ha inoltre altri problemi da affrontare. Innanzitutto, l'agenzia di rating Moody's ha stimato che, qualora la marea nera cessasse a breve, per le diverse attività economiche del Golfo del Messico ci sarebbe di una perdita complessiva di 1,2 miliardi di dollari, con la scomparsa di 17 mila posti di lavoro. Inoltre il gigante petrolifero britannico è stato ancora una volta smascherato per aver truccato una foto delle operazioni per contenere la marea nera. A scoprire l'inganno è stato un giovane blogger, autore del sito
di gossip Gawker, che ha capito che un'immagine sul sito della compagnia petrolifera che
mostra due piloti di elicottero in volo per osservare le navi impegnate nei lavori, è stata modificata con Photoshop. In realta l'elicottero era a terra parcheggiato sul ponte di una nave. Il portavoce di Bp, Scott Dean, è stato costretto a scusarsi e ad assicurare che «non succederà più». Si tratta, tra l'altro, della terza foto ritoccata da Bp dopo quelle scoperte nei giorni scorsi dal sito Americanblog.com, che aveva individuato la manipolazion di alcune foto del Centro crisi di Houston.

Sull'intreccio tra affari e politica negli Usa, e in particolare sui rapporti tra amministrazione, parlamento e colossi petroliferi il Washington Post ha rivelato che tre quarti dei lobbisti americani che rappresentano le compagnie petrolifere hanno lavorato nel governo
federale degli Stati Uniti, una proporzione che eccede di molto il normale riciclo dei funzionari governativi. Tra i circa 600 lobbisti registrati - spiega il Wp - vi sono 18 ex membri del Congresso e decine di funzionari nominati dai vari presidenti, oltre a un buon numero di reduci della Casa Bianca sotto l'amministrazione Bush. Non mancano nemmeno ex ispettori federali assunti da compagnie che era loro compito sorvegliare. La British Petroleum, alle
prese con il disastro del Golfo del Messico, ha assunto almeno una trentina di lobbisti con precedenti esperienze di governo, mentre l'American Petroleum Institute, la principale organizzazione di settore, vanta 48 ex funzionari federali tra cui un ex senatore e due ex
membri della camera dei rappresentanti. Proprio gli ex parlamentari provenienti da stati
che producono petrolio sono la preda più ambita per le lobby: 15 dei 18 lobbisti ex membri del Congresso provengono infatti da Texas, Lousiana, Mississippi, Oklahoma e Kansas, e hanno portato con sé decine di collaboratori. (M. Do.)

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