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Questo articolo è stato pubblicato il 23 luglio 2010 alle ore 08:51.
Daniele Amato ha 13 anni (a settembre andrà in terza media), capelli scompigliati che sembrano un po' mechati sopra le orecchie, una t-shirt con qualche buco di troppo. Un paio di giorni all'anno il suo banco a scuola resta vuoto. Ma è assente giustificato dai genitori. Deve incontrare Manolo Blahnik, il re delle scarpe idolatrato dalle quattro protagoniste di "Sex and the City".
La prima volta che si incrociano negli uffici della Leu Locati, l'atelier di famiglia nel pieno centro di Milano dove venti addetti dalle mani d'oro realizzano borse da sogno, tagliate e cucite a mano, totalmente made in Italy, sia con il marchio Leu Locati sia con quelli di diversi big brand del lusso, Daniele ha 8 anni. Il padre Paolo e la madre Flavia Fumagalli discutono con Manolo che schizza dei modelli. Baby Amato guarda il designer e sentenzia: «Tu non sei capace di disegnare le borse». Genitori attoniti, Blahnik pure. Ma Daniele – che da quando è nato respira l'aria dell'azienda fondata 102 anni prima dal prozio di suo nonno, quel Luigi Locati celebre come artigiano specializzato nella decorazione di copertine in pelle per libri sacri – prende carta e matita, disegna un piccolo sogno di piume, taglia la sagoma con le forbici, e in due minuti assembla un prototipo con cucitrice, colla e scotch.
«Odio i bambini ma devo ammettere che questo ragazzino è straordinario», sibila in inglese Manolo al suo braccio destro George. E da quel momento pretende di incontrarlo sempre quando arriva nel bel palazzo di inizio Novecento di via Cosimo del Fante, all'angolo di corso Italia, dove più che un laboratorio di abili artigiani in camice azzurro con la testa china sul banchetto ci si aspetta di trovare studi di notai, avvocati e commercialisti o di pubblicitari e esperti di comunicazione che abbondano sotto la Madonnina, oltre che solidi proprietari di appartamenti di prestigio, come quello in vendita allo stesso civico con il cartello della lussuosa agenzia di real estate John Taylor.
R acconta orgogliosamente Paolo, che nel '94, dopo la scomparsa del suocero Gianni Fumagalli, uno dei fondatori del Mipel, ha preso le redini della micro impresa da 3 milioni di euro: «Siamo l'unica azienda di questo livello a Milano ad avere mantenuto la produzione di pezzi unici o piccole serie in materiali pregiati, anche lavorati su antichi telai, con il nostro marchio: c'è qualche terzista, ma non è lo stesso lavoro. Certo, abbiamo prodotto o produciamo tuttora le borse più belle, piccoli gioielli di lusso superlativo, per Giorgio Armani Privé e Gianfranco Ferrè, Dolce & Gabbana e Chanel, Donna Karan e Ralph Lauren, Brian Atwood, AG Limited Edition di Alessandra Gucci e William & Son, gli ex proprietari di Asprey. Ma abbiamo dovuto combattere per mantenere in vita il nostro marchio e il nostro know how, in una città dove negli anni Ottanta c'erano ancora sette venditori di pelli di coccodrillo e ora ne sono rimasti un paio».