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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2010 alle ore 07:56.
KRAGUJEVAC - «Kragujevac vuole diventare la città della Fiat». Le parole che il sindaco Veroljub Stevanovic dice con la determinazione di un ex dissidente serbo costretto a lasciare il suo lavoro di capo del montaggio alla Zastava auto per le sue scelte politiche, forse a Torino non suonano bene, ma in questa città a 130 chilometri a sud di Belgrado stanno generando un fermento e una positività che ricordano gli anni della ricostruzione vissuta da molte città industriali dopo il secondo conflitto mondiale. Trent'anni fa dire Kragujevac era come dire Zastava. Adesso nella gente c'è la volontà che dire Kragujevac sia come dire Fiat.
Basta sedersi ai tavolini del caffè Da Vinci in Radicevica e si sente parlare di motori. Basta chiedere al portiere dell'hotel Nova Sicilijana, in Kralja Petra, per avere la conferma che gli ingegneri torinesi sono tornati di casa qui. E il simbolo sta anche nel progetto del sindaco di mettere un modello del Lingotto alla seconda rotatoria di ingresso alla città. O in quello del rettore dell'università, Slobodan Arsenijevic, di istituire un corso di lingua e letteratura italiana. Fiat qui vuol dire futuro, anche se le condizioni economiche degli stipendi attuali e quelle che si prospettano nell'immediato non garantiranno ai lavoratori il tenore di vita del passato, degli anni prima della guerra, delle sanzioni, dei bombardamenti Nato.
Nel suo piccolo appartamento a Stara Radnicka Kolonija, l'operaio della Zastava Dragic Asic che prima della guerra guadagnava mille marchi al mese e con le bambine e la moglie Snczana, anche lei impiegata alla Zastava, poteva persino andare dieci giorni al mare non ha dubbi: «Questo progetto è il futuro dei nostri giovani». Non importa che gli euro siano 350 o 400 al mese e che economicamente non restituiscano più le condizioni di vent'anni fa. «Bisogna capire che il mondo è cambiato e che non si può rimanere prigionieri del passato», dice il sindaco Stevanovic.
È un passato difficile quello di questa città. La guerra qui ha fermato l'orologio per vent'anni e i suoi abitanti adesso vogliono accelerare il giro delle lancette. Costi quel che costi, anche condizioni di vita difficili per il momento. Negli anni '80 era una delle aree più avanzate delle repubbliche socialiste, gli eventi storici l'hanno trasformata nella «valle della fame – dice Stevanovic –. E sa cosa le dico? Non ha senso parlare di quanto guadagnavo io e del tenore di vita di 30 anni fa, questi posti di lavoro sono fondamentali per i nostri giovani». E lo sono per molti, se è vero che secondo uno studio presentato a Belgrado dalla Siepa, l'agenzia serba per gli investimenti, il progetto della Fiat, tra diretti e indiretti, a regime porterà 30mila posti di lavoro.