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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2010 alle ore 19:45.
È iniziata bene la settimana per l'economia sulle due sponde dell'Atlantico, con i dati macroeconomici che mostrano performance positive oltre le attese, come l'indice Pmi in Europa, o in calo ma meno del previsto, come l'indice Ism manifatturiero e le spese per costruzioni negli Stati Uniti. Ma sono segnali troppo timidi (soprattutto quelli che giungono dagli Stati Uniti) per poter dare un colpo di acceleratore alla ripresa che, come ha avvertito il presidente della Fed, Ben Bernanke, «continuerà a essere lenta», nonostante per i prossimi trimestri si preveda una maggiore vivacità dei consumi delle famiglie americane.
Gli occhi degli analisti restano puntati su venerdì prossimo, quando è in programma la pubblicazione del il rapporto sul mercato del lavoro a luglio: il tasso di disoccupazione è dato in crescita al 9,6% (dal 9,5% toccato a giugno), mentre il numero dei nuovi assunti nei settori è previsto in calo di 70mila unità (-125mila il mese precedente). Cifre molto lontane da quelle terribili registrate nei mesi peggiori della crisi, ma in ogni caso insufficienti a convincere i mercati che la tempesta è definitivamente alle spalle e che non ci sarà una ricaduta, la tanto temuta 'double dip'.
In questo contesto, il mercato dei cambi resta il termometro più sensibile a ogni battito d'ali e il rafforzamento dell'euro che è tornato a vedere quota 1,32 dollari, è la dimostrazione più evidente del clima dominante: la vecchia Europa è messa meglio degli Stati Uniti. E la divergenza potrebbe essere destinata a crescere se il mercato del lavoro americano non invertirà la tendenza. Sembra passato un secolo dal primo week end di maggio, quando i leader europei approvarono a Bruxelles il piano salva-euro, nello scetticismo generale e con il cambio precipitato in poche sedute a 1,2. Allora in molti erano pronti a scommettere sulla fine della moneta unica e con essa, forse, dell'Unione europea.
Quelle preoccupazioni oggi appaiono eccessive, anche se i problemi europei restano: gli squilibri nei conti pubblici di molti paesi non sono stati cancellati e il maggiore coordinamento delle politiche economiche è ancora poco più che un progetto e per vedere la sua efficacia dovremo aspettare i primi mesi dell'anno prossimo. Ma il passo avanti c'è stato se anche il ministro Giulio Tremonti, in passato profeta di euroscetticismo, oggi parla con uno spirito del tutto nuovo.