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Economia Politica economica

«Il prezzo del grano sale con la speculazione. Ma la grande distribuzione non deve approfittarne»

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2010 alle ore 19:07.

«A 14-15 euro è antieconomico coltivare sia il grano duro sia il grano tenero. Perciò se i livelli di prezzo fossero rimasti quelli precedenti all'impennata delle scorse settimane probabilmente a ottobre molti produttori avrebbero deciso di non seminare affatto. Quelli di oggi sono gli stessi prezzi che avevamo quattro o cinque anni fa: coprono appena i costi di produzione e parlare di aumenti dei prodotti finali come pane e pasta è una barzelletta, è semplicemente pazzesco». A parlare è Claudio Destro, direttore generale di Maccarese spa, la più grande azienda agricola italiana, 3.200 ettari alle porte di Roma, di cui 700 coltivati a grano duro, 100 a grano tenero e 550 a mais.

«Abbiamo forse il più grande allevamento di mucche da latte, 3.300 capi che producono il 10% del latte consumato ogni giorno dai romani - spiega Destro - perciò conosciamo il problema anche come consumatori e posso dirle che sono prezzi equi e sostenibili anche per l'allevamento». Destro parla delle quotazioni dei listini di della Borsa merci di Bologna, la principale piazza commerciale italiana per i cereali: le quotazioni settimanali pubblicate il 5 agosto danno il frumento tenero nazionale fino a 191-195 euro la tonnellata e il grano duro fino a 206-210. «Prezzi che per il tenero sono comunque inferiori del 20-30% a quelli del 2007, quando il grano duro era quotato tra i 40 e i 50 euro al quintale».

La situazione per i produttori era ancora più grave al Sud, come spiega Pietro Molinaro, consigliere nazionale di Coldiretti e presidente di Coldiretti Calabria. «Nella Valle del Crati e nel Crotonese, le aree a maggiore vocazione cerealicola della Calabria, alla mietitura i prezzi del duro erano tra i 12 e i 13,5 euro a quintale. Così i produttori, e parlo da allevatore, i produttori non possono che andare in perdita». La Calabria ha 54mila ettari destinati al grano duro con una produzione di 1,3 milioni di quintali e quasi 19mila ettari per il tenero (440mila quintali).

Un problema strutturale
Destro spiega che se per il grano duro gli aumenti si possono giustificare con i raccolti canadesi stimati inferiori alle attese, «per il frumento tenero si tratta di rincari solo speculativi legati alla decisione della Russia di bloccare l'export». Non è detto perciò che questa situazione venga confermata alla ripresa delle attività dopo la pausa di agosto. «Gli aumenti sono arrivati in un momento in cui non c'erano acquirenti sul mercato, i mulini si erano già approvvigionati, perciò le quotazioni sono molto virtuali e poco di scambio. Bisognerà vedere cosa accadrà dopo il 20 agosto».

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Tags Correlati: Borsa Valori | Calabria | Claudio Destro | Coldiretti | Maccarese spa | Pietro Molinaro | Prezzi e tariffe | Russia

 

«Ma al di là della congiuntura - nota Molinaro - il problema è e resta strutturale: gli agricoltori non possono aspettare la siccità in Russia o i problemi canadesi per sperare di avere margini più alti».

I derivati sul grano
Oscillazioni improvvise e non durature, dunque, che non sono compatibili con i tempi della terra. «Infatti. Da quando i derivati sui cereali sono entrati nel mirino dei fondi di investimento come prodotto speculativo come il succo d'arancia o il cacao - sottolinea Destro - assistiamo sempre più spesso a forti sbalzi dei prezzi che si basano su previsioni lontane nel tempo e spesso sbagliate. Come è accaduto quest'anno con la soia: gli analisti avevano previsto un calo della produzione nei due principali paesi produttori, Brasile e Argentina, e invece è accaduto esattamente il contrario, con conseguenze sui prezzi prima e dopo». I tempi dei derivati non sono compatibili con quelli dell'agricoltura che ha bisogno di stabilità e di certezze. Ma c'è poco da fare - dice quasi rassegnato Destro - con la globalizzazione siamo inevitabilmente succubi dei mercati internazionali».

E la grande distribuzione? «Carica tutti i prodotti che acquista del 40%, dal latte alla pasta, oltre a farsi pagare il listing. Fanno loro la parte del leone, ma ipotizzare aumenti dei prodotti finali perchè i prezzi del grano sono tornati ai livelli di quattro o cinque anni fa - afferma Destro - è una vera sciocchezza».

«Nella filiera c'è chi guadagna troppo e chi non copre neppure i costi» gli fa eco Molinaro. «Per un euro speso dal consumatore - spiega - 17 vanno al produttore agricolo, 23 alla trasformazione e 60 alla distribuzione. Mi auguro che quest'ultimo aumento, che riequilibra i margini a favore dei coltivatori, non si trasformi un nuovi aumenti per i consumatori. Non sarebbe giustificabile, come ha avvertito il garante per la sorveglianza sui prezzi».

Proprio per questo la Coldiretti, ricorda Molinaro, si è impegnata nel progetto Filiera Agricola Italiana che ha l'obiettivo di creare «un grande sistema agroalimentare, che premi i produttori e offra ai consumatori prodotti di qualità e a un prezzo giusto». Questo significa «non solo accorciare la filiera e lasciare margini più alti agli agricoltori, ma anche combattere l'enorme problema della contraffazione: solo un prodotto su tre di quelli venduti nella grande distribuzione italiana è realizzato con prodotti agricoli italiani. Fino ad oggi già 30mila imprese sono riuscite ad aumentare i margini aderendo al nostro progetto. Ma la strada è ancora lunga».

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