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Economia Gli economisti

La Germania non è la Cina

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 agosto 2010 alle ore 17:17.


ROTTERDAM – Non vi è dubbio che gli squilibri globali registrati negli scambi commerciali e nei flussi di capitale siano almeno in parte imputabili alla crisi finanziaria e alla conseguente recessione che scuotono l’economia mondiale dal 2008. Ma non tutti gli squilibri sono uguali, quindi è importante soppesare ai fini della stabilità e della prosperità economica globale gli effetti dei conti con l’estero dei singoli paesi.

La storia della crisi è ben nota: negli Stati Uniti, l’incremento dei prezzi delle case ha alimentato nei primi anni 2000 i consumi privati, malgrado una tiepida crescita dei salari. Insieme al crescente deficit di bilancio USA, il deficit americano delle partite correnti – già ampio – aumentava a dismisura, mentre crescevano i surplus esterni della Cina e, a seguito del continuo innalzamento del prezzo del petrolio, quelli dei paesi petroliferi come gli Emirati Arabi Uniti.

L’Europa, nel frattempo, appariva magnificamente ben equilibrata, almeno superficialmente, a seconda che si considerassero tutti i 27 paesi membri dell’Unione Europea oppure solo i 16 membri dell’Eurozona. Mentre gli Stati Uniti incorrevano in deficit delle partite correnti che raggiungevano anche il 6% del PIL, l’Unione Europa e l’Eurozona raramente registravano un deficit – o un surplus – superiore all’1% del PIL.

Lo scorso anno, tuttavia, fu fin troppo chiaro a tutti che si trattava solo di un’illusione. Sotto la superficie si accumulavano enormi squilibri, con conseguenti boom immobiliari, alimentati dal debito, nella zona periferica dell’area euro. La Germania e i Paesi Bassi registravano surplus in un range compreso tra il 7% e il 9% del PIL, bilanciando nel suo complesso le partite correnti per l’Eurozona. Ma, nel 2006, Portogallo, Spagna e Grecia giunsero a registrare deficit delle partite correnti pari al 9% del PIL e oltre.

La relazione Cina-USA assomiglia a quella tra una società di vendita per corrispondenza e un cliente non proprio solvente. Il paese più popoloso al mondo è il più grande creditore estero del governo USA e di aziende patrocinate dal governo americano come Fannie Mae e Freddie Mac. Le riserve ufficiali di cambio estero della Cina pari a oltre 2,5 trilioni di dollari, che derivano da surplus di partite correnti a due cifre e afflussi di capitale, sono per lo più investite in bond denominati in dollari.

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Tags Correlati: Bundesbank | Bush | Fannie Mae | Freddie Mac | Germania | Grecia | Heleen Mees | Moritz Schularick | Olanda | Portogallo | Simona Polverino | Spagna | Stati Membri | Stati Uniti d'America | Unione Europa | Wall Street

 

Alcuni esperti sostengono che la Germania rivesta all’interno dell’Eurozona lo stesso ruolo che la Cina riveste in Cimerica, un neologismo coniato da Niall Ferguson e Moritz Schularick per descrivere la relazione simbiotica di tipo economico e commerciale tra Cina e USA. Se ci si focalizza solamente sulle partite correnti della bilancia dei pagamenti, potrebbe sembrare così. Nel 2007, mentre il surplus esterno tedesco raggiungeva il valore record di 7,5% del PIL, il surplus bilaterale più alto della Germania era con gli USA (29,5 miliardi di euro), seguiti da Spagna, Francia, Regno Unito e Italia. La Germania registrava il maggiore deficit bilaterale (21,2 miliardi di euro) con la Cina, seguita da Norvegia, Irlanda e Giappone.

Ma la Germania non accumulava riserve estere come invece faceva la Cina. Anzi, al contrario, tra il 2000 e il 2008 le riserve estere tedesche registrarono un calo. Mentre la Cina è un ampio beneficiario di investimenti diretti esteri (IDE), la Germania è un grande esportatore netto di tali investimenti. Nel 2008 l’afflusso netto di IDE della Cina ammontava a un totale di 94 miliardi di dollari, rispetto al deflusso netto di IDE della Germania pari a 110 miliardi di dollari.

In effetti, gli IDE netti costituiscono circa un terzo del conto di capitali della Germania. Più della metà di questi investimenti è riversata all’interno degli altri paesi UE, con un ulteriore 30% verso gli USA. Secondo la Bundesbank, gli IDE tedeschi rappresentano quasi sei milioni di posti di lavoro all’estero. Quel numero non include i posti di lavoro aggiuntivi che derivano da una maggiore attività economica in una data regione.

Il surplus della Germania è quindi meno lesivo di quello della Cina, perché utilizzato in investimenti che promuovono i guadagni di produttività, la crescita economica e la creazione di posti di lavoro – e che spesso includono trasferimenti di tecnologia che contribuiscono a sviluppare capitale umano.

Il surplus cinese, invece, fortemente incentrato sui bond governativi USA, incrementa essenzialmente i consumi personali – un processo che ha raggiunto l’apice agli inizi di questo decennio, quando i tagli fiscali dell’amministrazione Bush, insieme ai rifinanziamenti cash-out per le case e agli home equity loans, prestiti vitalizi ipotecari, trasformarono il debito sovrano USA in crediti per i consumatori. Naturalmente, anche la domanda generata dal credito cinese incentiva la crescita economica, ma per lo più in Cina, grazie al boom delle esportazioni verso gli Stati Uniti.

Con la massa di baby boomer che andranno in pensione nel prossimo decennio, la Germania ha un valido motivo per risparmiare. In vista della riduzione della forza lavoro del paese e del già elevato rapporto capitale-lavoro, è comprensibile che gli investitori tedeschi non vedano molte opportunità di investimento a livello nazionale, e quindi scelgano di investire all’estero.

Certamente, non é stato opportuno che le banche e i fondi pensione tedeschi abbiano prestato denaro a paesi indebitati quali Spagna, Grecia e Portogallo con condizioni oltremodo favorevoli, gonfiando le bolle finanziarie che alla fine sarebbero scoppiate. Come con qualsiasi creditore che fa un investimento incauto, a pagarne le conseguenze dovrebbero essere banche e fondi pensione.

Ciò nonostante, le differenze tra Cina e Germania sono decisamente maggiori rispetto alle somiglianze – non da ultimo per quanto riguarda la modalità di impiego dei propri surplus. Raggruppare tutti i paesi con surplus – o tutti i paesi con deficit, peraltro, non ci aiuterà a trovare un modo per riequilibrare l’economia mondiale.

Heleen Mees è ricercatrice presso l’Erasmus School of Economics di Rotterdam. Il suo libro Tussen hebzucht en verlangen – De wereld en het grote geld (Tra avidità e desiderio – Il mondo tra Wall Street e Main Street, ndt) è stato pubblicato nel 2009 nei Paesi Bassi.

Copyright: Project Syndicate, 2010.www.project-syndicate.orgTraduzione di Simona Polverino

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