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Economia Lavoro

In corsia più infermieri dall'est

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 08:01.

Una corsia preferenziale per lavorare nella sanità italiani. Medici, infermieri e tecnici di laboratorio sono immigrati molto richiesti nel nostro Paese. Così gli stranieri che hanno competenze mediche e sanitarie fruiscono di una doppia agevolazione in termini normativi: un percorso facilitato per la procedura d'ingresso in Italia e un iter burocratico più semplice - rispetto ad altri professionisti stranieri - per il riconoscimento del proprio titolo di studio.


Secondo l'ultimo monitoraggio dell'Ipasvi (la federazione dei collegi degli infermieri), oggi su quasi 370mila operatori sanitari iscritti alla confederazione il 10% (37.269) proviene da altre nazioni: di questi sono donne l'86%. In particolare, oltre la metà degli infermieri immigrati sono comunitari (21.223) e i restanti 16.046 provengono da paesi extra-Ue. Rilevante il dato degli infermieri rumeni nel nostro Paese (11.350), i professionisti stranieri più rappresentati nella categoria. Nella classifica generale degli infermieri provenienti da altri paesi seguono poi polacchi (3.644), svizzeri (2.943), peruviani (2.211), tedeschi (1.959), indiani (1.564), albanesi (1.506), francesi (1.144) e spagnoli (835).

E una ricerca recente curata da Ismu, Censis e ministero del Lavoro, segnala che medici e paramedici stranieri rappresentano appena l'1,7% del totale dei lavoratori immigrati. Tant'è che per incentivare la presenza di personale medico a giugno scorso il ministero della Salute ha delegato il ricevimento dei diplomi di laurea di infermieri e tecnici sanitari di radiologia medica – e l'istruttoria relativa – ad appositi uffici regionali, al fine di velocizzare la procedura di riconoscimento.

Due sono, almeno sulla carta, le agevolazioni riservate a medici e infermieri che provengono dall'estero. Innanzitutto, l'articolo 27 del Dlgs 286/98 (testo unico sull'immigrazione) prevede che alcuni lavoratori stranieri non siano sottoposti ai rigidi dettami imposti dalle ordinarie procedure d'ingresso. Si tratta di professionisti e lavoratori altamente specializzati come ingegneri, ricercatori, dirigenti, calciatori e, appunto, medici e infermieri. Per loro, tra il momento di richiesta del nullaosta e la concessione passa pochissimo tempo: circa un mese. Altro che i 291 giorni medi di attesa (stimati dal Viminale) che toccano agli immigrati "ordinari".

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Non basta la laurea in Italia: al medico serve la cittadinanza

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Tags Correlati: Ipasvi | Ismu | Libere professioni | Milano | Ministero dell'Interno | Ministero della Sanità | Roberto Reyes | Sonia Salas |

 

La seconda concessione normativa riguarda l'equipollenza, ovvero l'equivalenza di un titolo di studio straniero nel nostro ordinamento. Questa procedura è semplificata per medici e infermieri che si rivolgono, infatti, direttamente al ministero della Sanità, mentre gli altri laureati stranieri devono passare per le università. Per avviare l'iter ci deve essere una chiamata specifica da un ospedale (pubblico o privato), o un'agenzia di somministrazione o una società cooperativa già in contatto con una struttura sanitaria. Per i professionisti comunitari, il riconoscimento è automatico se si soddisfano alcuni requisiti di base. Per gli extracomunitari, invece, la procedura è più complessa (si veda la scheda a fianco). E sono proprio i cittadini provenienti dai paesi extra Ue che più richiedono il riconoscimento del titolo di studio in campo medico.

Roberto Reyes, presidente della cooperativa sociale "Studio 3 R" che si occupa di mediazione interculturale a Milano, spiega come nella pratica il riconoscimento per i professionisti extracomunitari in ambito medico-sanitario non sia così rapido come appare dal dettato normativo. «Dopo la richiesta specifica da parte di una struttura italiana, l'interessato deve tradurre tutti i certificati di studio idonei al riconoscimento e presentarli al consolato italiano, quindi c'è la dichiarazione di valore del console, poi vengono fatte due copie, vidimate, e infine si spedisce il tutto in Italia». Intanto passa circa un anno. «Qui il materiale viene girato alla struttura che ha richiesto il lavoratore, e lo stesso istituto cura poi la domanda di equipollenza: dopo circa cinque mesi arriva l'emanazione del decreto "nominale" che riconosce il titolo di studio. Ma non è finita: c'è anche l'esame di iscrizione all'Albo...».

Il risultato? «In tanti desistono perché pensano sia l'ennesima truffa». Oppure si iscrivono in un'università italiana e ricominciano gli studi daccapo. Come Sonia Salas, infermiera peruviana: «Mi sono laureata in scienze infermieristiche ad Ayacucho (Perù) e ho iniziato a lavorare al San Raffaele di Milano nel '90. Poi è arrivata la legge sull'equipollenza, ma sarei dovuta tornare a casa e per me era un problema. Così sono entrata in un'università italiana, la "Vita e Salute" del San Raffaele. Ho pagato le tasse, frequentato e passato tutti gli esami. E per superarli, mi è toccato seguire anche un corso intensivo d'inglese».
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