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Economia Aziende

Imprese italiane modello per Dubai. Marcegaglia: qui contano eccellenza e innovazione

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2010 alle ore 08:10.

Sarà il ministro dell'Economia di Dubai, Sultan Al Mansouri, che manderà per primo una lettera al governo italiano indicando i settori di maggiore interesse, su cui punta a collaborare con il nostro paese. È stata la seconda tappa della missione organizzata da Confindustria: Abi Ice e governo nei paesi del Golfo, dopo quella di Riyad. A Dubai, come ha detto la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, la presenza italiana è molto più consistente che in Arabia Saudita. Le imprese sono circa 200, l'interscambio è di 5 miliardi di euro, siamo alla terza posizione nella Ue, dopo Germania e Regno Unito, ma primi della Francia.

Ma non basta: il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani, ha annunciato che al più presto si metterà al lavoro una task force tra italiani ed emirati per aumentare la collaborazione. E, insieme alla Marcegaglia, hanno invitato il governo di Dubai a venire in Italia quanto prima, con una delegazione di imprenditori. C'è molto interesse, specie per il nostro modello delle piccole e medie imprese: è uno degli elementi emersi dopo l'incontro che il ministro Romani, il suo vice Adolfo Urso e la presidente di Confindustria hanno avuto ieri mattina con Sultan Al Mansouri. Ma c'è stato un altro segnale di attenzione verso l'Italia: la presenza ieri mattina, all'inaugurazione della Fiera Index, la più importante dei paesi del Golfo per l'arredamento e il design, anche del capo del governo, Al Maktum, accanto a Romani, Urso e Marcegaglia.

Piccole e medie imprese, ma non solo: altro punto su cui il ministro Al Mansouri ha insistito è la possibilità per studenti locali di fare stage in Italia, sia nelle università, sia nelle aziende.

«Abbiamo sempre avuto l'idea che la piccola dimensione potesse essere un ostacolo ad andare su mercati fuori dall'Italia, invece ci stiamo rendendo conto che in quest'area il modello delle pmi rappresenta un plus» ha commentato la presidente di Confindustria.

A guardare i numeri, le opportunità sono consistenti: Dubai grazie agli interventi del governo ha messo sotto controllo la situazione finanziaria e vuole dare il via a una diversificazione dell'economia, come del resto anche Abu Dhabi: già oggi si stima che il settore non oil & gas contribuisca per circa il 63% alla formazione del pil degli Emirati Arabi Uniti. In particolare il commercio contribuisce per il 16%, il manifatturiero per il 12% e l'immobiliare per l'8 per cento. Anche il turismo sta tirando: solo a Dubai ci sono 9 milioni di presenze all'anno, più del Marocco, che ha una lunga tradizione turistica e storica.

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Abu Dhabi ha un programma di sviluppo al 2030 con l'obiettivo di quintuplicare il pil, ha lanciato alcuni progetti tra cui la realizzazione di 5 stabilimenti produttivi per il valore di 54 miliardi di dollari ed è in costruzione il distretto culturale di Sadiyyat Island, dove verranno realizzati cinque grandi musei tra cui il Guggenheim e il nuovo Louvre.

Ma l'interesse non è solo locale: «Il Golfo è un hub importante verso altri paesi orientali, a sole 4 ore di volo c'è un terzo della popolazione mondiale», ha detto la Marcegaglia. Sottolineando ancora alcuni ostacoli agli investimenti: solo nelle zone franche (ce ne sono comunque 36) è possibile avere la totale proprietà dell'investimento, altrimenti bisogna fare joint venture. Per questo sono stati organizzati, nella giornata di ieri, incontri faccia a faccia tra imprenditori (220 sono quelli italiani, 180 di Dubai) in quattro settori: acqua, energie rinnovabili, beni di consumo e infrastrutture.

Oltre ad aumentare interscambio e investimenti italiani, bisogna attrarre i cospicui finanziamenti dei fondi sovrani. «Cercano dimensioni maggiori e liquidabilità», ha detto il vice presidente dell'Abi, Guido Rosa. «Bisogna mettersi attorno al tavolo e valutare le disponibilità - ha insistito la Marcegaglia - anche le piccole imprese possono essere interessanti, specie per i fondi più piccoli, innovativi. E devono cogliere la sfida di aprirsi a nuovi capitali, visto il bisogno che hanno bisogno di una maggiore capitalizzazione».

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