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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2010 alle ore 11:10.
Ci vorranno un paio d'anni per far ripartire il mercato dell'auto. Ne è convinto Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, che a margine del conferimento della laurea ad honorem a Giorgetto Giugiaro, sostiene che la Fiat non abbia perso quote di mercato a causa del mancato rinnovo dei modelli. «Non credo che sia quello il motivo», prosegue Marchionne che sottolinea che la volontà di non introdurre in un mercato depresso nuovi modelli faccia parte di una strategia. «Nel segmento A e B si è svuotato il tubo. Si faccia ripartire il mercato, ci vorrà un paio di anni».
Marchionne, anticipando che la nuova Y10 sta per arrivare sul mercato, ha respinto le critiche secondo cui la crisi di mercato denunciata nell'ultimo periodo dal gruppo torinese sia riconducibile al fatto che il parco modelli di Fiat sia vecchio. «Non credo - spiega - che sia così». La strategia di Fiat è stata ben pianificata per raggiungere un determinato obiettivo. «Il mercato è in linea con le previsioni. Ho incontrato a Bruxelles tutti gli altri costruttori europei: la ripresa dei numeri delle case non solo europee ma anche americane è dovuta semplicemente alla crescita dei mercati esteri».
Interpellato su un'eventuale applicazione del modello Pomigliano a Mirafiori, l'ad del Lingotto risponde: «E' un'idea fenomenale, se riusciamo ad arrivare a quel livello là partiamo immediatamente. Abbiamo le vetture da fare. C'è un accordo di principio con alcuni sindacati, vediamo se riusciamo a ricucire il tutto». Alle voci che arrivano da sindacato che parlano di un trasferimento della produzione della Mito a Melfi e dell'inizio della produzione di un Suv a Mirafiori l'a.d. di Fiat risponde con ironia sottolineando che le strategie del gruppo torinese sono pianificate «da una massa di bravissimi ingegneri». A quanti gli fanno notare che la Fiom torinese sostiene che l'azienda non li abbia ancora convocati, Marchionne risponde secco: «Alle dichiarazioni della Fiom non rispondo più, non ne vale la pena».