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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2010 alle ore 07:46.
«Marchionne ha ragione. Punto». Walter Fontana da Calolziocorte (300 addetti e 72 milioni di fatturato) è tranchant. «Chi sta dentro alla globalizzazione lo sa. I suoi metodi sono rudi. È vero. Ma la sostanza è corretta. Provi lei a competere tutti i giorni a braccia legate con tedeschi e francesi, cinesi e indiani». Perché a braccia legate? «Perché il paese è immobile. Dovevamo cambiare molto, se non tutto, dieci anni fa. Non è successo».
Fontana conosce la globalizzazione: negli stampi per l'automotive, le lastrature, gli assemblaggi e le ingegnerizzazioni ottiene il 90% del suo fatturato all'estero. «Marchionne e Marcegaglia hanno fatto bene a costruire un meccanismo di uscita temporanea da Confindustria della newco di Mirafiori, con successivo rientro. Si tratta di un metodo che consente di rinnovare il sistema di fronte all'urgenza dei mercati internazionali che, oggi, ha modificato ogni equilibrio».
Fontana è il prototipo dell'imprenditore fattosi da sé, che partendo da una formazione personale tecnica ha costruito una organizzazione industriale di notevole qualità tecnologica: nel 2010 il Fontana Group è stato scelto come fornitore dell'anno dalla Ferrari. Ha l'ironia del lecchese abituato a convivere con le contraddizioni italiane: «Che paese. Mi hanno dato una multa perché avevo sistemato, a mie spese, l'aiuola pubblica di fronte alla fabbrichetta».
Allo stesso tempo, ne conosce i pregi e i difetti: «L'operaio italiano è un buon operaio. La nostra capacità di trasformare l'innovazione in bellezza altrettanto. Bisogna però cambiare l'idea di impresa». Il discorso di Marchionne, per il Fontana, non ha alcun obiettivo politico. La sinistra, cinque anni fa, ha provato a impossessarsene come se fosse un socialdemocratico. La destra auspica adesso una specie di lavacro neoreaganiano per l'Italia. «Non è così - ragiona - l'impresa è un valore in sé che non c'entra con la politica. Marchionne opera in maniera indipendente dalla politica. L'essenziale è la strategia. Il contesto è il mercato globale».
Sulla natura storica del passaggio è d'accordo il piemontese Alberto Dal Poz, titolare della Comec di Alpignano. Dal Poz, che fattura con la componentistica di precisione 12 milioni di euro e dà lavoro a 65 addetti, parla al telefono con Il Sole 24 Ore all'aeroporto di Francoforte, qualche minuto prima di imbarcarsi per Detroit. Segno dei tempi che cambiano, grazie a un aggregato Chrysler-Fiat che ha creato una sorta di cordone ombelicale fra la dorsale padana della componentistica, che inizia a Torino e finisce a Mestre, e il combinato Michigan-Ohio che ha fatto del Novecento il secolo dell'auto. «Questa situazione mi fa paura - dice - perché il mondo nuovo non può non fare paura. Voglio essere ottimista: ci credo, che Marchionne nasconda qualcosa di buono.