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Questo articolo è stato pubblicato il 31 gennaio 2011 alle ore 13:54.
PECHINO – Per tutto il 2010, la Cina è stata accusata dal Congresso americano (e da molti altri) di manipolare la propria valuta al fine di favorire l’export e di preservare il surplus commerciale. Il comportamento della Cina sarebbe stato giudicato come la causa del grande squilibrio globale.
La Cina si è tuttavia rifiutata di accettare tali accuse e ha declinato le ripetute richieste degli Stati Uniti di intraprendere un’ampia rivalutazione della moneta. Il tasso di cambio del renminbi nei confronti del dollaro americano è cresciuto appena del 3% tra giugno 2010 e la fine dell’anno. In base a un’analisi utilizzata da alcuni economisti e politici americani, il basso tasso di apprezzamento valutario, insieme alla crescita dell’export cinese del 31% nel 2010 rispetto al 2009, avrebbe incrementato notevolmente il surplus commerciale della Cina.
In realtà, il surplus commerciale cinese è diminuito del 6,4% nel 2010 rispetto al 2009, che va ad aggiungersi a una flessione del 30% accusata nel 2008, a seguito della crisi finanziaria globale e della successiva recessione. Nel complesso, l’avanzo commerciale cinese è crollato del 36% in termini di dollari americani, e negli ultimi due anni ha registrato una flessione superiore alla metà (53%) in rapporto al Pil. Il coefficiente del surplus delle partite correnti cinesi rispetto al Pil è sceso al 4,6%, nettamente al di sotto del recente picco dell’11,3%, raggiunto nel 2007.
Tali dati dimostrano in conclusione che la teoria incentrata sui tassi di cambio dello squilibrio commerciale non corrisponde alla realtà. Negli ultimi due anni l’economia cinese è stata decisamente più equilibrata nelle sue relazioni commerciali con l’estero, malgrado non vi siano stati significativi aggiustamenti sul fronte del tasso di cambio.
Il motivo, ovviamente, risiede nel forte incremento della domanda interna cinese. Le vendite totali dei beni di consumo hanno evidenziato un incremento del 14,8% nel 2010 e gli investimenti fissi nazionali sono cresciuti del 19,5%, entrambi in termini reali. Di conseguenza, in dollari americani, la domanda dell’import ha registrato un rialzo del 38,7%, superando la crescita dell’export pari al 31%. In parole povere, se un paese è in grado di migliorare il proprio equilibrio interno, diverrà più equilibrato a livello esterno, a prescindere dalle lievi modifiche del tasso di cambio.