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Questo articolo è stato pubblicato il 29 febbraio 2012 alle ore 16:26.

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Shanghai (Corbis)Shanghai (Corbis)

PECHINO – Se tutto procede bene per la Cina, riuscirà a superare gli Stati Uniti come più grande economia a livello mondiale all’attuale valore nominale del dollaro (e, più rapidamente, al valore reale) entro il 2021, mentre il suo reddito pro capite raggiungerà quello della fascia più bassa dei paesi a reddito elevato. Tuttavia, nonostante questo slancio in avanti, nel decennio a venire l’economia cinese si troverà ad affrontare dei rischi incombenti.

Il rischio più immediato è dato da un contesto di stagnazione, o recessione, costante in Europa. Nell’ultimo decennio, la crescita delle esportazioni ha rappresentato circa un terzo della crescita economica cinese complessiva e proprio circa un terzo delle esportazioni stesse sono state verso l’Europa. Se la situazione europea continua a deteriorarsi, la crescita della Cina verrà rallentata.

Una stretta eccessiva sulle politiche macroeconomiche, in particolare su quelle mirate al mercato immobiliare, potrebbe aumentare il rischio di un rallentamento vista l’attuale riduzione rapida dei prezzi degli immobili in tutta la Cina a causa delle misure rigide imposte dal governo. Il contesto è molto simile a quello della crisi finanziaria asiatica del 1997. Per diversi anni precedenti la crisi, la Cina aveva combattuto l’inflazione e sembrava aver raggiunto un rallentamento economico adeguato per evitarla. Ma la combinazione della crisi e delle politiche di austerità condannarono il paese a diversi anni di deflazione e ad una crescita considerevolmente rallentata.

Oggi, rispetto ad una prospettiva di medio termine, il governo cinese si trova a dover affrontare i problemi provocati dal suo ruolo imponente all’interno dell’economia. Un nuovo rapporto della Banca mondiale individua nella mancanza di riforma delle aziende statali l’ostacolo più grande alla crescita economica del paese. Ma si tratta solo di un sintomo di un problema ben più radicato: il ruolo dominante del governo negli affari economici.

Oltre al controllo diretto del 25-30% del PIL, il governo si prende anche la parte più consistente delle risorse finanziarie. Negli ultimi anni, più di un terzo dei prestiti complessivi bancari è stato investito nelle infrastrutture, la maggior parte delle quali è stata costruita da enti statali. E’ pur vero che dopo aver riconosciuto di aver sovrainvestito nelle infrastrutture, il governo ha recentemente abbandonato diversi progetti sull’alta velocità già in fase di costruzione. Ma il sovrainvestimento statale è evidente anche nei diversi parchi industriali ed aree ad alta tecnologia.

La frenesia degli investimenti in Cina ricorda a molti il contesto giapponese degli anni ’80, quando l’alta velocità raggiunse gli angoli più remoti del paese. Ad oggi la maggior parte dei cittadini dipende dai sussidi statali. E se da un lato i sussidi possono migliorare in qualche modo la qualità di vita delle persone comuni, dall’altro la svuotano soffocando il consumo interno.

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