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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2012 alle ore 07:00.

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Esistono pochi dubbi sul fatto che gli ultimi 4 mesi abbiano rappresentato uno spartiacque molto delicato per i titoli di Stato italiani. Prima dello scoppio della crisi del debito sovrano europeo l'Italia non solo rappresentava un emittente regolare e affidabile ma era in grado di finanziare il proprio debito pubblico senza difficoltà e con costi decrescenti. Lo scoppio della crisi greca e l'effetto contagio che ha coinvolto diversi Paesi europei, Italia in testa, ha cambiato le carte in tavola.

I downgrade si sono abbattuti a raffica sui cosiddetti Paesi periferici dell'Eurozona (Grecia, Portogallo, Spagna e Italia) e neanche il "marchio della Tripla A" è sembrato più un argine sicuro sotto il quale ripararsi per evitare i danni più gravi della crisi finanziaria (si veda il caso della Francia). Per l'Italia le conseguenze sono state particolarmente dure: i tassi sono schizzati verso l'alto su tutte le scadenze, tornando in alcuni casi sui livelli di 15 anni fa. Il patrimonio di credibilità conquistato negli ultimi anni è sembrato evaporare di pari passo con l'aumento dello spread con la Germania: nei momenti più bui della crisi il differenziale di rendimento tra titoli decennali italiani e tedeschi è volato fino a sfiorare i 600 punti base per poi rientrare sotto quota 400 centesimi.

È ovvio che in una situazione di tale volatilità l'investimento in titoli di Stato italiani ha finito per perdere la sua tradizionale connotazione di investimento sicuro e sostanzialmente privo di rischi. Lo hanno ben capito gli investitori esteri (soprattutto quelli professionali come banche e fondi comuni) che hanno alleggerito di molto le loro posizioni sull'Italia. Secondo gli ultimi dati della Banca d'Italia la fuga dei capitali esteri si è tradotta, nel 2011, in vendite nette di bond italiani per 72,6 miliardi, di cui 41,16 di soli titoli a medio e lungo termine. Nel solo mese di dicembre 2011, i disinvestimenti esteri sono ammontati a 24 miliardi, quasi interamente dovuti ai titoli di debito.

Pur non disponendo di dati più aggiornati si può dire, tuttavia, che la situazione è parzialmente rientrata nei primi mesi del 2012, quando sui bond italiani si sono tornati a vedere forti flussi di acquisto anche grazie alla maggiore liquidità a disposizione del settore bancario dopo la maxi asta triennale della Bce. In questa situazione le scelte di investimento degli italiani hanno mantenuto una linea prudente. La liquidità ha fatto premio a scapito di tutte le altre forme di investimento in titoli del reddito fisso, soprattutto di quelle pubbliche. Anche se non sono ancora disponibili dati quantitativi certi, molti osservatori segnalano che tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012 si è accentuata la tendenza a disinvestire dai titoli di Stato per puntare su forme che garantiscono rendimenti fissi, uniti alla possibile immediata di disponbilità dei fondi. Quindi meglio il conto corrente puro e semplice, oppure una delle numerose forme di conto deposito, piuttosto che acquistare un titolo di Stato, anche quando il rendimento tende a diventare decisamente elevato.

Il 6% lordo offerto dl BoT annuale a fine novembre, come anche il 6,5% offerto dal BoT semestrale, ha attirato qualche amante del rischio, magari stimolato dalle iniziative di sensibilizzazione per l'acquisto dei titoli di Stato italiani degli ultimi mesi (è il caso il caso del BoT-day e del BTp-day lanciati dall'Abi a fine 2011, che hanno favorito gli acquisti dei titoli di stato riducendo le commissioni che vengono abitualmente applicate dalle banche). In linea di massima, però, i bond del Tesoro sono rimasti uno strumento di investimento riservato a banche, tesorerie e fondi di investimento. I piccoli risparmiatori hanno concentrato le loro scarse munizioni sui titoli a breve termine, soprattutto i BoT semestrali, visto che i BoT trimestrali non vengono emessi dal Tesoro dal settembre 2011. Con l'allungarsi delle scadenze la presenza dei risparmiatori tende ad assottigliarsi, per poi scomparire completamente sulle durate superiori ai 10 anni.

Se si osserva l'andamento della domanda nel corso delle ultime aste dei titoli di stato italiani, sia a breve che a lungo termine, si nota come questa sembri essere una funzione della liquidità a disposizione delle banche piuttosto che della propensionee al rischio dei piccoli risparmiatori. Il picco di richieste per i bond italiani si registra, infatti, alla fine del 2011, ovvero poco dopo l'asta triennale della Bce che ha iniettato oltre 489 miliardi di euro nel circuito finanziario europeo. Questa tendenza non sembra aver subito cambiamenti significativi nei primi mesi del 2012, malgrado il generale miglioramento delle mercato obbligazionario europeo, e italiano in particolare.

Il consolidamento dei conti pubblici avviato dal Governo Monti e l'accordo raggiunto in sede europea per sbloccare la nuova tranche di aiuti necessari alla Grecia per evitare il default hanno rasserenato il clima sui mercati finanziari. Lo spread tra Italia e Germania si è riportato su quota 350 punti base e i tassi sulla curva dei rendimenti italiana sono scesi rapidamente, in particolare sulle scadenze più brevi. I tassi a 6 mesi sono tornati ai livelli pre-crisi (intorno all'1,2%); quelli a 2 e a 3 anni sono su livelli che oscillano intorno al 3 per cento. Leggermente più indietro sono rimasti i titoli sulla parte più lunga della curva dei rendimenti. Dai BTp quinquennali in poi i guadagni dei titoli di stato italiani sono meno apprezzabili, anche se i rendimenti "monstre" di fine 2011 (come il 7,56% registrato dal BTp decennale a novembre 2011) sembrano ormai alle spalle. Il BTp a 5 anni nell'asta di fine febbraio è arrivato ad offrire un rendimento del 4,19% mentre il BTp decennale oscilla intorno al 5,5. Le attese del mercato sono ora concentrate sui titoli a lungo termine e molti operatori si attendono che la prossima asta triennale della Bce sia in grado di fornire il carburante necessario ai mercati per estendere i guadagni anche alla parte più lunga della curva dei rendimenti.

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