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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2012 alle ore 07:00.

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Nella foto lo stabilimento della Amarù di Gela, nata nell'indotto del petrolchimico e attiva anche all'esteroNella foto lo stabilimento della Amarù di Gela, nata nell'indotto del petrolchimico e attiva anche all'estero

C'è la piccola azienda che ha ripreso a produrre la coppola e vende il copricapo tradizionale un tempo simbolo negativo in tutto il mondo. E c'è la grande impresa delle costruzioni che invece cerca cantieri e li trova nel mondo e in particolare nel Nord Africa che cambia. C'è la piccola azienda che produce divani nel cuore della Sicilia e non trova partner sul posto per costruire una filiera produttiva adeguata e duratura. E ci sono le due aziende (una palermitana e una catanese) che si mettono insieme per produrre un nuovo prototipo di autobus di città.

Per non parlare delle imprese del settore meccanico che hanno acquisito grandi competenze nell'orbita dei poli petroliferi e oggi lavorano in tutto il mondo. In attesa che arrivi una terapia adeguata per un'economia che è ormai in stato comatoso, con una previsione di Pil a fine 2012 che si attesta a -2,2 %, c'è un mondo che si muove, che fa passi in avanti sulla via dell'export, della ricerca di nuove commesse, della crescita di nuovi business. Si potrebbe continuare a lungo nell'elenco di Pmi (alcune raccontate nelle pagine di questo rapporto) che stanno provando in tutti i modi, nonostante le difficoltà di contesto, a stare insieme e ad andare avanti.

Resta in piedi, in Sicilia, il sistema dei distretti produttivi e in questo caso la regione è riuscita a impedire che si trasformassero in meri centri di spesa e magari di assunzioni più o meno clientelari: oggi ve ne sono 18 (tra riconosciuti e da riconoscere) tra industria in senso stretto, servizi e industria agroalimentare. Sono il risultato di una selezione naturale: è rimasto chi aveva veramente un tessuto imprenditoriale alle spalle. Per l'assessore alle Attività produttive Marco Venturi non c'è spazio per chi cerca solo contributi.

E anche nel caso dei distretti, oltre al distretto della pesca di Mazara del Vallo (il Cosvap) che è ormai simbolo di eccellenza, abbiamo aggregazioni di imprese in settori che piano piano stanno assumendo un valore strategico: si pensi al distretto del Dolce siciliano o a quello dell'ortofrutta, o ancora alla pietra lavica e al ferro battuto che stanno in una via di mezzo tra industria e artigianato. Si è andati oltre i tradizionali poli (come poteva essere l'Etna Valley con i suoi antichi insediamenti come StM e nuovi come 3Sun che produce il film ultrasottile per il fotovoltaico) ma si è sempre in attesa che i nuovi distretti decollino in termini di opportunità per le aziende anche perché nel frattempo si impone il modello delle reti di impresa, considerato dagli imprenditori più flessibile e vantaggioso. Agricoltura e zootecnia tornano a essere un fattore di attrazione per i giovani ma necessitano di un cambio culturale come ripete ormai da tempo l'assessore regionale al ramo Elio D'Antrassi: serve massa critica, dice, servono aggregazioni di imprese e iniziative nel campo della trasformazione del prodotto.

Queste sono le dinamiche della Sicilia, terra che oggi può rivendicare un nuovo protagonismo imprenditoriale, etico, civile. Come il messaggio che viene da Caltanissetta dove la zona franca della legalità, che è diventata realtà grazie all'impegno di Antonello Montante, vicepresidente di Confindustria e delegato nazionale alla legalità dal presidente Emma Marcegaglia. Così come è frutto della battaglia di Montante la previsione del rating di legalità per quelle imprese che credono nel rispetto delle regole e agiscono di conseguenza: «Non è solo antimafia – ha spiegato più volte Montante –. Ma qualcosa di più: è un modello». Un modello premiante che insieme alla zona franca della legalità comincia a dare i primi risultati positivi. Il messaggio è chiaro: nel cuore della Sicilia è possibile fare impresa pulita e sana.

La legalità è un asset fondamentale dello sviluppo ed è anche un fattore decisivo per la modernizzazione della regione. Lo dice chiaramente il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello il quale insiste nel chiedere interventi concreti sulle infrastrutture (materiali come la linea ferroviaria veloce tra Catania e Palermo o digitali come la banda larga nelle aree industriali): «Bisogna creare opportunità per le imprese che devono essere messe nelle condizioni di competere». In fondo è questa una delle richieste contenute nella piattaforma della manifestazione organizzata il primo marzo da tutte le associazioni di impresa e dai sindacati: 25mila le persone in marcia a Palermo.

Ma poi non bastano mille marce se un porto come quello di Augusta che potrebbe diventare un hub commerciale con investimenti anche cinesi resta fermo perché serve un via libera dall'Unione europea. O ancora se per avere il via libera su un'opera strategica come la Ragusa-Catania ogni giorno attraversata da migliaia di camion che portano l'ortofrutta al Nord bisogna aspettare anni. I siciliani, lo hanno dimostrato, provano a fare la loro parte ma chiedono a chi deve decidere di farlo in fretta. E soprattutto di intervenire su un apparato burocratico elefantiaco che, come dice l'assessore all'Economia Gaetano Armao, «pur essendo fatto in molti casi di gente per bene, che lavora e guadagna poco per quello che fa in alcune circostanze è corrotto o colluso».

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