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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2012 alle ore 16:09.

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PARIGI – Mentre le elezioni presidenziali si avvicinano, la Francia sta arrivando ad un punto di rottura. Per trent’anni, sia con la destra che con la sinistra al potere, il paese ha perseguito gli stessi obiettivi incompatibili e contraddittori. Con la crisi del debito sovrano che sta mettendo al muro le banche francesi (e, di conseguenza, l’economia francese), si dovrà arrivare a concedere qualcosa in tempi brevi.

La stretta economica, che si verificherà molto probabilmente nell’anno o nei due anni successivi alle elezioni, provocherà un cambiamento radicale e doloroso, forse persino più estremo del coup d’état di Charles de Gaulle che portò all’instaurazione della Quinta Repubblica nel 1958.

La maggior parte dei politici e burocrati francesi considerano queste osservazioni allarmanti. Dopotutto, i trend degli indicatori chiave, come l’indice di indebitamento e il deficit del budget, non sono forse peggiori negli Stati Uniti e in Gran Bretagna? In effetti, se non fosse per l’euro, tanto caro alla classe politica francese, le difficoltà della Francia potrebbero essere paragonate a quelle degli Anglo Sassoni.

Ma se da un lato non è stato l’euro a causare i problemi economici della Francia, l’impegno dei politici francesi nei suoi confronti rappresenta un ostacolo insormontabile alla loro risoluzione. Il problema fondamentale è che il sistema di welfare troppo generoso del paese (nel 2010 la spesa pubblica era pari circa al 57% del PIL rispetto al 51% della Gran Bretagna ed il 48% della Germania) soffoca la crescita necessaria affinché l’euro rimanga vitale.

I più gravi difetti strutturali riguardano i contributi elevati e la regolamentazione del mercato del lavoro che rendono difficile, o quantomeno altamente costoso, per le aziende ridurre la forza lavoro in conseguenza di un calo del business. Secondo il rapporto dell’OCSE, nel 2010 la tax wedge della Francia (determinata dalle imposte sul reddito sommate ai contributi previdenziali del datore di lavoro e del dipendente, meno i trasferimenti diretti di denaro come percentuale dei costi complessivi di manodopera) era superiore di almeno 13 punti percentuali alla media dell’OCSE su tutti i livelli di reddito familiare.

Ciò ha portato ad elevati costi unitari della manodopera in relazione al peer group francese (in particolar modo rispetto alla Germania) e ad un alto livello di disoccupazione. Durante la presidenza di Valery Giscard d’Estaing negli anni ’70, la disoccupazione iniziò ad aumentare anno per anno raggiungendo il 6,3% nel 1980. Nel 1981 François Mitterrand, salito al potere, promise una crescita rapida ed un tasso minore di disoccupazione, ma si trovò ad affrontare un rallentamento economico ed un conseguente rialzo del tasso di disoccupazione. Entro il 1977 la disoccupazione aveva raggiunto l’11,4% e, da allora, è sceso al di sotto dell’8% solo nel corso del 2008.

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