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Questo articolo è stato pubblicato il 02 maggio 2012 alle ore 12:59.

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BRUXELLES – Nel 2005, sia la Francia che l’Olanda hanno votato no ad un trattato costituzionale per l’Unione Europea, facendo deragliare anni di sforzi verso l’ integrazione. Sembra che i due paesi siano sul punto di sconvolgere l’Europa ancora una volta.

Lo scorso 21 aprile, è crollato il governo di coalizione olandese, dopo che la destra populista dei Geert Wilders ha rifiutato di approvare i tagli di spesa necessari per limitare il disavanzo di bilancio al 3% del PIL. Il giorno dopo, i candidati che sostenevano una inversione riguardo all’integrazione europea hanno catturato un terzo dei voti al primo turno delle elezioni presidenziali francesi. Il 6 maggio, è probabile che la Francia compia una svolta a sinistra ed elegga François Hollande, che mette in discussione il patto fiscale della UE di ispirazione tedesca, e chiede all’Europa una maggiore concentrazione sulla crescita.

Queste sono le prime schermaglie di un dibattito molto importante per l’Europa. Il dibattito ruota intorno a due questioni principali: austerità e integrazione.

Iniziamo con l’austerità. La questione qui non è se i deficit debbano essere ridotto o meno. Essi deveno essere ridotti di certo, dato lo stato disastroso delle finanze pubbliche europee, e anche perché i paesi la cui competitività è peggiorata durante il primo decennio di unione monetaria devono rafforzare la politica fiscale se vogliono ottenere il necessario adeguamento di salari e prezzi.

Infatti, è sintomatico che i paesi della zona euro gravati da forti squilibri esterni, che allo scoppio della crisi hanno beneficiato di enormi rifornimenti di liquidità da parte della Banca Centrale Europea, hanno ridotto il disavanzo dei loro conti correnti in misura largamente inferiore rispetto ai paesi fuori dall’ euro nelle loro stesse condizioni. Ha ragione su questo punto la Germania, paladina dell’austerità.

Il problema è che l’austerità produce effetti perversi. La riduzione sia della leva privata che di quella pubblica difficilmente può aver luogo nello stesso momento, a meno che non si generi nuova domanda di esportazione da parte dei partner commerciali. La recessione e la deflazione dei prezzi riducono le entrate fiscali e peggiorano le dinamiche del debito pubblico, mettendo in pericolo il ripristino di condizioni sostenibili. Per di più, gli obiettivi di riduzione del disavanzo portano i governi a rispondere ai momenti di recessione moltiplicando le misure di austerità, in genere senza molta attenzione per gli effetti negativi sul lato dell’offerta.

Quindi è necessario affrontare l’austerità ed il riequilibrio in modo strategico. E qui, la UE ha commesso tre errori.

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