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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2012 alle ore 18:35.

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NEW YORK – I Paesi del mondo ad alto reddito versano in gravi difficoltà economiche, soprattutto sul fronte della crescita e dell’occupazione, e ora i loro problemi si stanno propagando alle economie in via di sviluppo. Quali fattori sottintendono ai problemi di oggi e quanto sono adeguate le probabili risposte politiche?

Il primo fattore chiave è il deleveraging e la conseguente carenza di domanda aggregata. Da quando è iniziata la crisi finanziaria nel 2008 diversi Paesi sviluppati, con una domanda a base di debiti e consumi eccessivi, hanno dovuto risanare sia i bilanci pubblici che privati, e ciò richiede del tempo, lasciandoli compromessi in termini di crescita e occupazione.

Il fronte non-tradable di qualsiasi economia avanzata è ampio (all’incirca due terzi dell’attività totale). Per questo ampio settore non esiste sostituto per la domanda domestica. Il lato tradable potrebbe comporre parte del deficit, ma non è abbastanza ampio da compensare totalmente. In linea di massima i governi potrebbero colmare la lacuna, ma gli elevati (e crescenti) debiti limitano la loro capacità ad agire in tal senso (anche se i termini di queste limitazioni sono oggetto di un accesso dibattito).

La verità è che il deleveraging garantirà alla meglio una crescita modesta nel breve e medio periodo. Se la situazione dell’Europa peggiora, o se l’America non riuscirà a correggere il fiscal cliff, il cosiddetto precipizio fiscale all’inizio del 2013 (quando scadono gli sgravi fiscali e subentrano in automatico i tagli alla spesa), il rischio di una recessione diverrà sempre più reale.

Il secondo fattore alla base dei problemi di oggi riguarda gli investimenti. La crescita a lungo termine richiede investimenti da parte dei singoli (in istruzione e competenze), dei governi e del settore privato. La mancanza di investimenti alla fine riduce le opportunità di crescita e occupazione. La cruda verità è che l’altro lato della medaglia del modello di crescita trainata dai consumi prevalso prima della crisi è stata la mancanza di investimenti, soprattutto nel settore pubblico.

Se il ribilanciamento fiscale viene in parte realizzato tagliando sugli investimenti, a soffrirne sarà la crescita nel medio e lungo termine, il che implica minori opportunità di lavoro per i giovani che entrano nel mondo del lavoro. Sostenere gli investimenti, d’altro canto, ha un costo immediato: rinviare i consumi.

Ma i consumi di chi? Se quasi tutti concordano sul fatto che servono più investimenti per migliorare e sostenere la crescita, ma la maggior parte è dell’idea che qualcun altro debba pagare per questo, gli investimenti cadranno vittima di un impasse per la condivisione del peso – che si riflette nel processo politico, nelle scelte elettorali e nella formulazione delle misure di stabilizzazione fiscale.

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