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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2012 alle ore 17:18.

BRUXELLES – La comunità energetica globale sta fremendo per la fratturazione idraulica o fracking, una nuova tecnica per l’estrazione di gas prima inaccessibile e imprigionato in formazioni rocciose nel sottosuolo (shale gas). Il boom nella cosiddetta produzione di shale gas ha consentito agli Stati Uniti di diventare quasi autosufficienti nell’approvvigionamento di gas naturale.

L’Europa resta invece chiaramente un passo indietro. Le prospezioni geologiche stanno procedendo con esitazione e la produzione di shale gas non è nemmeno iniziata, inducendo molti osservatori a lamentarsi del fatto che l’Europa fosse sul punto di perdere la prossima rivoluzione energetica. Gli europei dovrebbero preoccuparsi?

I critici per l’apparente mancanza di entusiasmo dell’Europa per il fracking non contemplano due punti chiave. Prima di tutto, la geologia dell’Europa è differente da quella dell’America. C’è una grande differenza tra i potenziali depositi nascosti da qualche parte in ampie formazioni rocciose e le riserve recuperabili che potrebbero effettivamente essere prodotte a livello economico.

Di fatto, le suggeriscono che la maggior parte delle riserve recuperabili di shale gas si trova negli Usa e in Cina, e non in Europa. Inoltre, anche queste stime non sono altro che ipotesi educate, poiché solo negli Usa le formazioni shale sono soggette a intense prospezioni geologiche da decenni.

Solo ora questo processo sta iniziando in Europa. La , e potrebbe diventare un produttore importante su scala locale tra circa dieci anni. Si tratta di una fortunata coincidenza, perché la produzione di shale gas probabilmente renderebbe politicamente più semplice eliminare quei sussidi, considerati irragionevoli dal punto di vista economico e ambientale, per la produzione (e il consumo) locale di carbone. Il fracking rappresenterebbe altresì un vantaggio strategico perché ridurrebbe la dipendenza della Polonia dalla Russia per l’approvvigionamento di gas.

Ma i critici dell’Unione europea a favore del fracking non considerano un secondo punto: l’Ue non ha autorità sulla sviluppo di shale gas in Europa. Le licenze e la regolamentazione delle prospezioni geologiche e della produzione vengono decise a livello nazionale.

Bisogna ammettere, tuttavia, che in Europa il fenomeno Nimby (acronimo inglese per not in my backyard) rappresenta un ostacolo decisamente più serio di quanto non sia negli Usa. Se da un lato è vero che gli europei sono troppo sensibili alle problematiche ambientali, dall’altro anche gli incentivi rivestono un ruolo. In particolare, mentre negli Usa i diritti di proprietà sulle risorse naturali appartengono comunemente al singolo proprietario del terreno sotto cui si trovano le risorse, in Europa la proprietà appartiene allo stato.

Di conseguenza, gli europei, di fronte alle incerte conseguenze ambientali e in mancanza di guadagni, tendono ad opporsi al fracking. Negli Usa, invece, i residenti locali beneficiano generosamente della possibilità di vendere i propri diritti di proprietà alle compagnie del gas – un forte contraltare ai timori dei costi ambientali.

La proprietà privata rispetto a quella statale delle risorse naturali non è però l’unico fattore istituzionale alla base del boom americano del gas. Un motivo raramente menzionato è che lo sviluppo di shale gas negli Usa ha beneficiato di importanti incentivi fiscali – un modello che l’Europa non ha ragione di emulare. I governi hanno sicuramente un ruolo nel sostenere lo sviluppo di nuove tecnologie, come il fracking; ma, una volta sviluppata la tecnologia, non si spiega perché una forma di produzione del gas debba essere sovvenzionata con incentivi fiscali.

Il punto più cruciale, e quasi sempre ignorato, sul fracking è che lo shale gas, come tutti gli idrocarburi, può essere utilizzato solo una volta. Il punto non è quindi se sviluppare o meno lo shale gas in Europa, ma la tempistica d’uso, ossia se utilizzarlo oggi o domani.

L’Europa è già un forte utente di gas, ma i suoi consumi stanno stagnando (insieme all’economia). Malgrado la massiccia pubblicità sulla rivoluzione dello shale gas, i costi di estrazione del gas convenzionale (onshore) restano al di sotto di quelli per lo shale gas. Inoltre, l’esistenza di una rete di pipeline implica che questo gas convenzionale può essere trasportato verso l’Europa a un costo marginale basso. Da un punto di vista economico (e ambientale) è improbabile che il fracking porti grandi benefici all’Europa: lo shale gas non farebbe che sostituire l’abbondante gas convenzionale.

Nello scenario attuale in cui i tassi di interesse sono ultrabassi, i costi economici del ritardo europeo sono bassi. La migliore opzione per l’Europa potrebbe essere quella di attendere e di far lavorare il mercato. Il fracking non è ancora una tecnologia matura ed è quindi improbabile che migliori nel tempo. Magari l’Europa diverrà un leader di fracking avanzato quando saranno esauriti i depositi di shale gas negli Usa.
Traduzione di Simona Polverino

Daniel Gros è direttore del Center for European Policy Studies.

Copyright: Project Syndicate, 2012.

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