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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2012 alle ore 14:03.

L’Europa, per contro, si è focalizzata all’inizio sul ripristino della sostenibilità fiscale, trascurando invece i mali del settore privato. Nella seconda metà del 2009, ovvero prima del trambusto dei mercati delle obbligazioni, la priorità dei policymaker è stata quella di trovare una via d’uscita dagli incentivi fiscali. Di conseguenza, i problemi del settore privato sono stati messi da parte. Si è detto, ad esempio, che le banche erano in buono stato quando molte si trovavano invece al limite della solvenza. Si è presunto poi che i nuclei familiari fossero pronti al consumo, mentre in Spagna e altrove molti risultavano più che indebitati. Inoltre, è stata incoraggiata una politica di labor-hoarding alle spese della produttività e della redditività.

L’Europa è quindi emersa dalla recessione con troppe banche zombie e con nuclei familiari e aziende in seria difficoltà. In Germania l’economia privata era abbastanza solida da poter recuperare, ma così non è stato nel sud dell’Europa o persino in Francia.
Il Regno Unito, pur non essendo stato colpito direttamente dalla crisi dell’euro, rappresenta un test interessante in quanto ha comunque seguito la strategia europea. Invece di registrare un aumento della produttività come negli Stati Uniti, la Gran Bretagna ha infatti attraversato un periodo di ferie dalla produttività con serie conseguenze. Secondo l’ultimo della Banca d’Inghilterra, la produttività del Regno Unito sarebbe al di sotto dei trend precedenti alla crisi per un 10% a causa di un numero ridotto di investimenti e ad un rallentamento del processo schumpeteriano di distruzione creativa.

Proprio come nell’Europa continentale, la produttività ha sofferto a causa di una combinazione di redditività insufficiente e di mercati di capitale disfunzionali. I costi di lavoro per unità prodotta sono aumentati e la crescita potenziale della produzione è scesa.
L’aver trascurato il settore privato ha lasciatol’Europa in seria difficoltà. Sul fronte dell’offerta, una produzione permanentemente ridotta tende infatti a rendere l’aggiustamento fiscale ancor più obbligatorio, d’altra parte sul fronte della domanda un’economia privata debole non ha la resilienza sufficiente per contrastare i tagli fiscali.

A questo punto i paesi europei in difficoltà non possono evidentemente permettersi di sospendere il processo di aggiustamento del settore pubblico per concentrarsi sui bilanci del settore privato. E non dovrebbero neppure trarre ispirazione dal contesto americano dello scoglio fiscale. Ciò nonostante, ci sono tre lezioni da imparare dall’approccio americano.
Innazitutto, il ripristino del settore bancario dovrebbe essere una priorità per i policymaker con una focalizzazione sulle aree in cui non è stato ancora completato. In secondo luogo, bisognerebbe mantenere un passo moderato nel processo di consolidamento mantenendo la domanda limitata attraverso una politica di deleveraging e di restrizione del credito. Infine, bisognerebbe focalizzarsi sull’equilibrio tra le riforme sulla restrizione fiscale e sull’offerta e, nel contesto adatto, bisognerebbe infine dare priorità all’offerta contrariamente a quanto è stato fatto finora.

Traduzione di Marzia Pecorari

Jean Pisani-Ferry è direttore di Bruegel, un think tank di economia internazionale, professore di economia presso la Université Paris-Dauphine, e membro del Consiglio di analisi economica del Primo Ministro francese.
© Project Syndicate, 2012.

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