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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2012 alle ore 11:17.
Non dovremmo tuttavia esagerare l’entità del cambio di rotta dell’FMI. Il Fondo continua infatti a considerare la mobilità del capitale libero come un ideale verso cui tutti i paesi dovrebbero convergere e che ha come unico requisito il raggiungimento da parte dei paesi delle condizioni limite di uno sviluppo istituzionale e finanziario adeguato.
L’FMI considera il controllo del capitale come l’ultima risorsa da implementare in circostanze molto ristrette, ovvero quando altre misure macro, finanziarie o caute non siano in grado di contenere gli afflussi di capitale, nel caso di una sovravalutazione del tasso di cambio, di un’economia surriscaldata con una riserva straniera già adeguata. Pertanto, mentre il Fondo delinea un approccio integrato alla liberalizzazione del capitale, e individua in dettaglio una serie di riforme da implementare, non ci sono misure lontanamente comparabili sul controllo di capitale e su come renderlo più efficace.
Ciò rispecchia un ottimismo esagerato su due fronti: innanzitutto sulla capacità della politica di gestire in modo diretto le carenze soggiacenti che rendono la finanza pericolosa, e, in secondo luogo, sulla misura in cui la convergenza della regolamentazione finanziaria interna riuscirà ad attenuare la necessità di una gestione transnazionale dei flussi.
E’ possibile comprendere meglio il primo punto con un paragone con il controllo delle armi da fuoco. Le armi da fuoco, proprio come i flussi di capitale, hanno degli usi legittimi, ma possono anche creare delle conseguenze catastrofiche se utilizzate accidentalmente o messe nelle mani sbagliate. La riluttanza da parte dell’FMI di sostenere il controllo di capitale è molto simile all’atteggiamento di chi si oppone al controllo delle armi da fuoco: i policy maker dovrebbero puntare a contenere i comportamenti dannosi invece di limitare bruscamente le libertà individuali. Come sostengono le lobby americane a favore delle armi da fuoco non sono le armi da fuoco ad uccidere le persone, ma le persone stesse. Ciò implica che dovremmo punire i colpevoli e non limitare la circolazione delle armi. Allo stesso modo, i policymaker dovrebbero assicurare che gli azionisti dei mercati finanziari interiorizzino i rischi che assumono invece di imporre una tassa o limitare alcuni tipi di transazioni.
Ma come dice spesso Avinash Dixit, economista di Princeton, nel migliore dei casi il mondo è sempre secondo. Un approccio che implica la capacità di individuare e regolamentare direttamente i comportamenti problematici non è realistico. Gran parte delle società controllano le armi da fuoco direttamente in quanto non è possibile monitorare e regolamentare i comportamenti senza limiti di errore e inoltre i costi sociali di un eventuale fallimento sono elevati. Allo stesso modo, la cautela ci impone di istituire una regolamentazione diretta sui flussi transnazionali. In entrambi i casi, regolamentare o proibire alcune transazioni è una strategia i ripiego in un mondo in cui l’ideale potrebbe essere irraggiungibile.
La seconda complicazione è data dal fatto che, invece di convergere, i modelli nazionali di regolamentazione finanziaria si stanno moltiplicando anche tra le economie avanzate con istituzioni ben sviluppate. Nel contesto della regolamentazione finanziaria bisogna considerare il compromesso tra l’innovazione e la stabilità finanziaria. Più vogliamo uno dei due elementi, meno possiamo avere l’elemento rimanente. Alcuni paesi opteranno per una maggiore stabilità imponendo dei requisiti severi sulle proprie banche in termini di capitale e liquidità, mentre altri potrebbero favorire una maggiore innovazione e adottare una regolamentazione più lieve.
La mobilità del capital libero pone una difficoltà importante. Sia chi prende e chi elargisce prestiti possono fare riferimento ai flussi finanziari transnazionali per evadere i controlli nazionali e compromettere l’integrità degli standard normativi nazionali. Per evitare quest’arbitraggio normativo, i regolamentatori nazionali potrebbero essere obbligati a prendere delle misure nei confronti delle transazioni finanziarie provenienti da giurisdizioni con norme più blande.
Un mondo in cui diverse sovranità nazionali regolano la finanza in modi diversi ha bisogno di norme di traffico per gestire l’intersezione di politiche nazionali separate. Il presupposto secondo cui tutti i paesi convergeranno sull’ideale della mobilità del capitale libero ci distrae dalla formulazione di queste norme.
Traduzione di Marzia Pecorari
Dani Rodrik, professore di economia politica internaizonale presso l’Università di Harvard, è autore di The Globalization Paradox: Democracy and the Future of the World Economy.
Copyright: Project Syndicate, 2012.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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