Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2012 alle ore 20:33.

Per la Spagna vale lo stesso discorso, l'Italia dovrebbe invece ridurre la spesa del 10-15%, mentre la Grecia e il Portogallo avrebbero bisogno di una drastica riduzione dei prezzi interni, rispettivamente del 30% e del 35%. Le statistiche OCSE sul potere d'acquisto forniscono un quadro simile, con Grecia e Portogallo che devono attuare un deprezzamento del 39% e del 32% rispettivamente solo per raggiungere il livello dei prezzi prevalente in Turchia. Tuttavia, finora non è stato fatto praticamente nulla in tal senso. E la cosa peggiore è che i tassi di inflazione di alcuni dei Paesi in difficoltà continuano a essere più elevati di quelli dei loro partner commerciali.

I politici dell'eurozona tendono a credere che sia possibile riacquistare competitività attraverso la realizzazione di riforme e di progetti infrastrutturali, e un incremento della produttività, ma senza ridurre i prezzi interni. Questa è una falsa credenza, in quanto tali misure rafforzano la competitività solo nella misura in cui riducono i prezzi interni nei confronti dei concorrenti europei. Non c'è modo di aggirare una riduzione dei prezzi interni relativi finché questi Paesi rimangono nell'unione monetaria: o avviene una deflazione, o il differenziale d'inflazione rispetto ai partner commerciali aumenterà più rapidamente.

Non vi è un modo semplice o socialmente comodo per raggiungere questo obiettivo. In alcuni casi, un corso del genere può rivelarsi così pericoloso che non andrebbe imposto a nessuna società. Il divario tra ciò che occorre fare per ripristinare la competitività e ciò che i cittadini possono sopportare se continuano a far parte dell'unione monetaria è semplicemente troppo grande.

Per diventare vantaggioso, il tasso di inflazione di un Paese deve mantenersi al di sotto di quello dei suoi concorrenti, ma ciò è realizzabile solo mediante una recessione. Più i sindacati difenderanno le strutture salariali esistenti, meno crescerà la produttività e più lunga sarà la recessione. Per tornare a essere competitive, la Spagna e la Francia avrebbero bisogno di una recessione decennale, con un tasso di inflazione inferiore del 2% rispetto a quello dei concorrenti. Nel caso dell'Italia il percorso appare più breve, mentre per il Portogallo e la Grecia si profila decisamente lungo, forse troppo.

L'Italia, la Francia e la Spagna dovrebbero essere in grado di tornare competitive all'interno della zona euro entro un periodo di tempo non troppo lungo. Dopo tutto, tra il 1995, anno dell'annuncio definitivo dell'euro, e il 2008, anno dell'inizio della crisi finanziaria globale, la Germania ha ridotto i prezzi relativi nei confronti dei partner commerciali europei addirittura del 22%.

Dieci anni fa la Germania era quello che la Francia è oggi, il malato d'Europa, poiché soffriva di una disoccupazione galoppante e della carenza di investimenti. La maggior parte dei suoi risparmi venivano investiti all'estero, e la sua quota nazionale di investimenti netti era tra le più basse dei Paesi OCSE. Messo sotto pressione, il governo socialdemocratico di Gerhard Schröder decise nel 2003 di privare milioni di tedeschi del loro sussidio di disoccupazione di secondo livello, spianando così la strada alla creazione di un settore a basso salario, che a sua volta ha determinato un calo dell'inflazione.

Purtroppo, finora non si vede alcun segno che i Paesi in crisi, soprattutto la Francia, siano disposti a stringere i denti. Di certo, se si continuerà a credere nelle formule magiche, la crisi dell'euro ci accompagnerà ancora a lungo.

Traduzione di Federica Frasca

Hans-Werner Sinn è professore di economia e finanza pubblica presso l'Università di Monaco, e presidente dell'istituto tedesco Ifo.

Copyright: Project Syndicate, 2012.

Shopping24

Dai nostri archivi