Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2013 alle ore 17:20.

My24


NEW HAVEN – La politicizzazione delle banche centrali procede inesorabile. Il ritorno di Shinzo Abe e del Partito democratico liberale in Giappone – pilastri di quel sistema politico che ha lasciato l’economia giapponese impantanata in due decenni perduti – è solo l’ultimo caso in questione.

Le recenti elezioni in Giappone si sono basate fondamentalmente su ciò che Abe auspicava per la politica monetaria della Banca del Giappone (Boj). Il ministro sosteneva che una timida Boj dovrebbe imparare dai suoi omologhi più aggressivi, quali la Federal Reserve americana e la Banca centrale europea. Proprio come la Fed e la Bce hanno apparentemente salvato il salvabile con la non convenzionale e aggressiva manovra di quantitative easing (Qe), va da sé che ora Abe crede sia il turno della Boj.

E sembra proprio che perseguirà questo obiettivo. Con il mandato del governatore della Boj Masaaki Shirakawa in scadenza ad aprile potrà selezionare un successore – e due vice governatori – in grado di portare a termine la sua missione.

Ma funzionerà? Mentre la politica monetaria sperimentale è ora ampiamente accettata come una procedura standard nell’odierna era post-crisi, la sua efficacia resta dubbia. Quasi quattro anni dopo che il mondo ha toccato il fondo sulla scia della crisi finanziaria globale, l’impatto del Qe è stato straordinariamente asimmetrico. Mentre le massicce iniezioni di liquidità sono state efficaci nello scongelare i mercati del credito e hanno messo fine alla fase peggiore della crisi – come testimonia il primo ciclo di Qe attuato dalla Fed nel biennio 2009-2010 – i successivi sforzi non hanno suscitato nulla che si avvicinasse a una normale ripresa ciclica.

La ragione non è difficile da capire. Zoppicanti per i gravi danni ai bilanci pubblici e privati, con i tassi di interesse prossimi o pari allo zero, le economie post-bolla sono rimaste impantanate in una classica trappola della liquidità. Sono più focalizzate a pagare i massicci debiti accumulati prima della crisi che ad assumere nuovi debiti e incentivare la domanda aggregata.

Il triste caso del consumatore americano è un classico esempio di questo scenario. Negli anni precedenti alla crisi, due bolle – immobiliare e creditizia – hanno alimentato un boom da record dei consumi personali. Una volta scoppiate le bolle, le famiglie hanno comprensibilmente concentrato le proprie forze nel risanare i bilanci – ossia, pagare i debiti e ricostruire i risparmi personali invece di riprendere le eccessive abitudini di spesa.

In effetti, malgrado il della Fed sia triplicato dopo la crisi, arrivando a 3mila miliardi di dollari – probabilmente toccherà i 4mila miliardi di dollari nel prossimo anno – i consumatori americani hanno fatto marcia indietro come mai prima. Nei 19 trimestri dall’inizio del 2008, la crescita annuale della ha registrato una media pari appena allo 0,7% – quasi tre punti percentuali al di sotto degli incrementi al 3,6% registrati negli 11 anni precedenti al 2006.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi