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Questo articolo è stato pubblicato il 17 gennaio 2013 alle ore 18:54.

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PRINCETON – Mentre tutti gli occhi erano puntati sulla periferia dell’eurozona, i paesi centrali hanno subito un tracollo? La Bundesbank ha ridotto le sue previsioni per la crescita del PIL tedesco nel 2013 allo 0,4%, mentre la Banca Centrale dei Paesi Bassi prevede per quest’anno una contrazione del PIL olandese pari allo 0,5% e un’ulteriore contrazione nel 2014.

Sembra quindi che la crisi dell’eurozona stia entrando nel terzo stadio. Durante il primo stadio, iniziato nella primavera del 2008, il fulcro della crisi nordatlantica si è spostato dagli Stati Uniti all’eurozona, mettendo sotto pressione le banche dell’eurozona e aumentando le tensioni interbancarie.
Nella seconda fase, iniziata nell’estate del 2009, la crisi si è poi diffusa ai debiti sovrani facendo aumentare la preoccupazione degli investitori per l’eventuale pressione sulle finanze pubbliche determinata dalla necessità di sostenere le banche. D’altra parte, la debolezza dei debiti sovrani ha comportato grandi rischi, in apparenza, per le banche, rendendole infine inseparabili dai loro governi.

Nel corso della crisi, si è presunto (almeno finora) che i paesi centrali dell’eurozona sarebbero rimasti solidi e che avrebbero continuato a finanziare i governi periferici e le banche in difficoltà. Una presunzione del tutto plausibile in apparenza. L’Europa a due velocità era infatti diventata la nuova norma.
In particolar modo, la Germania si posizionava al di sopra delle parti. Dopo una prestazione economica decisamente forte nel 2010, all’inizio del 2011 il PIL tedesco era infatti al di sopra dei livelli della crisi, un risultato di certo migliore rispetto a quello degli USA. E proprio vista la sorprendente prestazione nel settore dell’occupazione tedesco, sembrava prospettarsi un nuovo Wirtschaftswunder.

Ma poi si è verificato un sottile cambiamento. Gli Stati Uniti, nonostante un ritorno decisamente lento alla normalità, hanno superato la Germania, e, in assenza di uno scoglio fiscale di lunga durata e della confusione sul tetto del debito, potrebbero portare avanti una ripresa sostenibile. A seguito della forte contrazione dell’economia tedesca nell’ultimo trimestre del 2012, oggi la questione principale per il paese è se riuscirà ad evitare una recessione tecnica (ovvero una contrazione economica protratta per due trimestri consecutivi).

L’Europa non ha un suo motore di crescita. All’inizio, infatti, l’effetto rebound in Germania è stato forte in quanto il commercio mondiale è cresciuto rapidamente a seguito di una caduta repentina. L’appetito vorace della Cina per le auto e le apparecchiature tedesche ha fornito la spinta necessaria alla Germania, mentre i suoi tradizionali partner commerciali in Europa rimanevano in difficoltà.

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