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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2013 alle ore 14:13.

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BERKELEY – Sul lato sinistro della mia scrivania ci sono, al momento, tre volumi di recente pubblicazione: The Battle di Arthur Brooks, Coming Apart di Charles Murray e A Nation of Takers di Nicholas Eberstadt. Insieme, essi formano un importante filone intellettuale che, in gran parte, spiega anche il motivo per cui oggi il conservatorismo americano ha ben poco di costruttivo da dire sulla gestione dell'economia, nonché scarsa presa sul centro dell'elettorato americano.

Ma andiamo un po' a ritroso nel tempo, fino alla nascita di quello che potremmo definire il conservatorismo moderno in Gran Bretagna e Francia all'inizio Ottocento. Allora, c'era chi, come Frédéric Bastiat e Jean-Baptiste Say, credeva che lo Stato dovesse utilizzare le persone senza lavoro per costruire infrastrutture, qualora l'attività dei mercati o la produzione fossero temporaneamente sospese. A questi, però, facevano da contrappeso coloro che, come Nassau Senior, si opponevano persino agli aiuti alimentari: nonostante un milione di persone avesse perso la vita durante la carestia delle patate in Irlanda, per lui "era una cifra a malapena sufficiente".

L'essenza del conservatorismo nella sua fase iniziale prevedeva la totale opposizione a qualunque forma di assicurazione sociale: rendere i poveri più ricchi li avrebbe fatti diventare più prolifici, e ciò avrebbe avuto come conseguenza la riduzione delle dimensioni delle aziende agricole (poiché la terra sarebbe stata divisa tra più eredi), la diminuzione della produttività della forza lavoro, e un ulteriore impoverimento della gente. La previdenza sociale non era considerata solo inutile, bensì anche controproducente.

Una corretta politica economica doveva insegnare alle persone a onorare il trono (per proteggere la proprietà), la casa paterna (per evitare che si sposassero troppo giovani) e l'altare religioso (per prevenire i rapporti prematrimoniali). A quel punto, forse, restando le donne caste per circa metà della loro vita feconda, si sarebbe ridotto il surplus di popolazione e le condizioni dei poveri sarebbero state più che accettabili.

Con un balzo in avanti di 150 anni arriviamo all'America post Seconda guerra mondiale e all'originale critica mossa dalla Chicago School alla previdenza sociale versione New Deal, secondo cui essa generava dei "gradini" che snaturavano gli incentivi economici. Il messaggio che dava lo Stato ai poveri, per Milton Friedman e altri, era: se guadagnate di più, vi verranno tolti gli alloggi gratuiti, i buoni alimentari e il sostegno al reddito. Friedman sosteneva che difficilmente la gente avrebbe continuato a lavorare senza ricevere niente, o quasi, in cambio.

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