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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2013 alle ore 17:20.

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NEW HAVEN – I policy maker della Federal Reserve stanno apparentemente avendo dei ripensamenti sulla ragionevolezza di un uso illimitato del quantitative easing (QE). E fanno bene. Non solo questo esperimento politico non testato non è riuscito a garantire un’accettabile ripresa economica, ma ha anche aumentato il rischio di un’altra crisi.

I della Federal Open Market Committee (FOMC) della Fed riferiscono di un malcontento latente: [Molti] partecipanti…hanno espresso alcune preoccupazioni sui costi e sui rischi potenziali derivanti da ulteriori acquisti di asset. Si va dalle preoccupazioni sulle ramificazioni destabilizzanti di una exit strategy dal Qe all’apprensione sulle perdite di capitale sul crescente volume dei titoli in portafoglio detenuti dalla Fed (attualmente 3mila miliardi di dollari, sulla strada verso i 4mila miliardi entro la fine di quest’anno).

Per quanto seri possano essere questi timori, non tengono conto di quello che potrebbe essere effettivamente il maggiore punto debole di questa mossa senza precedenti attuata dalla Fed: la troppa attenzione sulla tattica a breve termine rispetto alla strategia di lungo periodo. Colti di sorpresa dalla crisi del 2007-2008, la Fed ha manifestato la sua errata diagnosi del problema spingendosi oltre più volte, con due cicli di Qe precedenti l’attuale iterazione senza limiti. La FOMC, suscitando un fallace senso di comfort dal successo del Qe1 – una massiccia iniezione di liquidità nelle profondità di una orribile crisi – giunse erroneamente a credere di aver trovato il giusto modello per le successive azioni politiche.

Questo approccio avrebbe potuto funzionare se l’economia americana fosse stata colpita da una malattia ciclica – una carenza temporanea di domanda aggregata. In questo caso, le politiche anticicliche, sia fiscali che monetarie, potrebbero sbloccare la domanda e far ripartire l’economia, proprio come sostengono i Keynesiani.

Ma gli Usa non stanno soffrendo di un male temporaneo e ciclico. Sono affetti da una malattia del tutto differente: una prolungata recessione di bilancio che continua a far zoppicare le famiglie americane, i cui consumi rappresentano all’incirca il 70% del Pil. Da tempo sono scoppiate due bolle, quella immobiliare e quella creditizia, per le quali le famiglie americane si erano indebitate senza limiti. Ma gli shock post-traumatici persistono: i debiti a carico delle famiglie erano ancora al 113% del reddito personale disponibile nel 2012 (rispetto al 75% negli ultimi tre decenni del ventesimo secolo) e il ha registrato appena una media del 3,9% lo scorso anno (rispetto al 7,9% evidenziato tra il 1970 e il 1999).

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