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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2013 alle ore 07:12.

E allora torniamo alla domanda se quello che è stato fatto è giusto. La risposta è sì, ma solo fino a un certo punto.
Molti insistono sul fatto che qualsiasi tassazione dei depositi è un furto. Questa è una sciocchezza: una banca non è un forziere. Una banca è un gestore di attività, con una limitatissima capitalizzazione, che fa una promessa, quella di restituire ai depositanti i loro soldi su richiesta e secondo il loro valore: promessa che non sempre può essere mantenuta senza l'assistenza di uno Stato solvente. Chiunque presta denaro alle banche di questo dev'essere consapevole. È inconcepibile che le banche – un'attività finanziaria che comporta dei rischi – possano operare senza alcun rischio di perdite almeno per alcune categorie di prestatori. In caso contrario, il debito delle banche non è altro che debito dello Stato. Non si può consentire che un'attività privata giochi d'azzardo in questo modo con i soldi dei contribuenti, questo è evidente.

La domanda, allora, non è se in linea di principio i prestatori possono subire delle perdite. La domanda è quali di loro devono subirle, e in quale misura. Su insistenza, a quanto sembra, del presidente cipriota Nicos Anastasiades, le perdite devono ricadere sui depositi di meno di 100.000 euro, il limite massimo fissato per la garanzia sui depositi nell'Eurozona. L'idea è di tassare questi depositi più piccoli al 6,75 per cento, e quelli più grandi al 9,9 per cento. Questa misura ora potrebbe cambiare, e per ragioni più che valide. Ma non toccare i depositi più piccoli vorrebbe dire alzare il prelievo sui depositi al di sopra dei 100.000 euro al 15 per cento, per raccogliere i 5,8 miliardi di euro necessari. Una cosa positiva, a mio parere. Ma il Governo russo non è d'accordo. E neanche quello di Cipro.
Un grosso interrogativo è perché il normale contribuente cipriota dovrebbe salvare le banche. Senza nessun bailout e con la piena protezione dei depositi al di sotto dei 100.000 euro, la tassa sugli altri (calcolando gli 1,4 miliardi di euro per liquidare i creditori di secondo grado) salirebbe molto di più. Ingiusto? No. L'unico argomento in senso opposto è che il Governo, in quanto rappresentante dei contribuenti, ha creato un sistema finanziario pericoloso, perciò i contribuenti devono accollarsi una parte dei costi.

Comunque la statalizzazione del credito crea pericoli. Le misure in discussione sono un gioco d'equilibrismo fra quelli che temono di creare altro panico e gli altri che vogliono a tutti i costi affrontare il nodo dell'«azzardo morale». Il risultato può essere il peggio di entrambi i mondi. Spremere i depositanti rischia di scatenare assalti agli sportelli in altri Paesi. Al contempo, i contribuenti sopportano comunque una parte importante del costo dei fallimenti.
Tutto questo mi suscita grossi timori.
Il primo riguarda l'accordo stesso. La decisione di colpire i depositi garantiti è un grosso errore. (Sì, è un default, non una tassa.) Ma la decisione di statalizzare certi depositi non è stata un errore. Per quanto impopolare possa essere, è indispensabile un sistema di risoluzione delle crisi bancarie che trasformi questa cosa in realtà, a Cipro e non solo. Un altro timore è legato al fatto che la tassa colpisce indiscriminatamente, senza distinguere tra banca e banca, disincentivando perfino i grandi depositanti a monitorare la solvibilità del loro istituto.
Ma il timore più grande viene da The Banker's New Clothes, il libro di Anat Admati di Stanford e Martin Hellwig del Max Planck Institute, che ho recensito questa settimana. Le banche hanno una capacità di assorbimento delle perdite talmente limitata che sono sempre sull'orlo del disastro.

Il caso cipriota è un esempio estremo in tal senso: oltre a una piccola quantità di patrimonio netto, i 68 miliardi di euro di depositi erano protetti solo da obbligazioni non garantite per 2,7 miliardi (2,5 miliardi di secondo grado e 200 milioni di primo grado). Giustamente o no, le altre, inclusi i prestiti interbancari, erano giudicate intoccabili. Questa struttura mette le autorità, non solo a Cipro, ma praticamente ovunque, di fronte a un terribile dilemma: salvare tutte le banche, convalidando in questo modo i modelli di business più rischiosi e, nella peggiore delle ipotesi, mettendo a rischio la solvibilità dei Governi; oppure rifiutarsi di salvarle e in questo modo rischiare di scatenare una depressione in patria e panico all'estero, specialmente all'interno di un'area fortemente integrata come l'Eurozona.
L'Eurozona deve rendere il settore molto più robusto, incrementando enormemente i requisiti patrimoniali, oppure deve mettere insieme i bilanci degli Stati e irrigidire la regolamentazione, per garantire una vigilanza adeguata su tutta l'Eurozona e un adeguato supporto da parte delle finanze pubbliche. La cosa spaventosa non è che la minuscola Cipro sia finita nei guai, ma che dalla minuscola Cipro nascano pericoli più ampi. Le banche sono pericolose ovunque, ma in Eurolandia continuano a costituire una minaccia per la sopravvivenza. Tutto questo deve cambiare, e molto in fretta.
Copyright The Financial Times Limited 2013
(c) 2013 The Financial Times Limited
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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