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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2013 alle ore 17:43.

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STANFORD – In tutto il mondo, l’acceso dibattito sul se, quando e quanto ridurre disavanzi colossali e un debito sovrano ai massimi livelli divide politici e opinione pubblica, dando luogo alla proliferazione di politiche di spesa, fiscali, monetarie e regolative diametralmente opposte. Consolidare (il bilancio) o non consolidare, questo è il dilemma.

La sinistra politica chiede un incremento della spesa pubblica, imposte più elevate per i contribuenti ad alto reddito, e di procrastinare il consolidamento fiscale. Paul Krugman, economista ed editorialista del New York Times, ad esempio, propone di rinviarlo di 10-15 anni. (C’è da dire che molte di queste persone si erano pronunciate, per motivi analoghi, contro le politiche disinflazionistiche, poi rivelatesi efficaci, della Federal Reserve all’inizio degli anni Ottanta). D’altro canto, la destra politica reclama una tempestiva riduzione del disavanzo mediante tagli alla spesa pubblica.

In Europa, i policymaker, tra cui la Banca centrale europea, invocano il consolidamento per i Paesi più indebitati, pur mostrandosi flessibili nelle trattative; sono gli elettori, però, a rifiutarlo, e il recente caso italiano ne è una riprova. Negli Stati Uniti, i repubblicani puntano a raggiungere il pareggio di bilancio nel giro di un decennio riformando la spesa pubblica per l’assistenza e il sistema tributario (con una riduzione delle esenzioni, delle detrazioni e dei crediti che fornisca le entrate necessarie a ridurre le aliquote delle imposte personali e un’aliquota aziendale che, fissata al 35%, ).

I senatori democratici americani prospettano, invece, un gettito di circa 1,5 trilioni di dollari in dieci anni ottenuto da un aumento delle imposte (oltre ai seicento miliardi di dollari già approvati all’inizio di gennaio), cento miliardi di dollari (il doppio per i deputati democratici alla Camera dei Rappresentanti) in nuovi incentivi alla spesa pubblica, e modesti tagli alla spesa sul lungo periodo. La loro versione della riforma fiscale sottintende una riduzione delle detrazioni per le classi agiate e per le imprese, senza alcuna diminuzione delle aliquote.

Quali sono i costi e i benefici associati, rispettivamente, a una politica d’incentivi e al consolidamento? E qual è la migliore combinazione tra tagli alla spesa e inasprimento fiscale?

Gli economisti concordano sul fatto che, in un regime di piena occupazione, l'aumento della spesa governativa spiazza la spesa privata. Il modello keynesiano, che parla una rapida ascesa derivante dall’incremento della spesa governativa al di sotto della soglia di piena occupazione, dimostra che l'effetto diventa presto negativo. Pertanto, va ripetuto più volte, come una cura a base di farmaci, per mantenere la prosperità economica. È stata questa stessa strategia a mettere il Giappone nella condizione di doversi accollare il rapporto debito/Pil più alto del mondo, con scarsi benefici.

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