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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2013 alle ore 13:39.

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Simon Wren-Lewis recentemente ha cercato di aprire un dialogo con l'Anticristo. In un post sul suo blog intitolato «La visione di Bruxelles», il professore di Oxford ha cercato di calarsi nella mentalità dei funzionari comunitari che difendono le politiche di austerity, e ha colto un punto importante (anche se forse è stato fin troppo tenero con gli austeriani).

Come dice lui, il punto di partenza è cercare di capire perché economisti come lui stesso, come Brad DeLong, come Martin Wolf, come Larry Summers (almeno al momento), come il sottoscritto e come altri oggi sono schierati contro l'austerity. Noi non siamo contrari sempre e comunque al risanamento dei conti pubblici: datemi le giuste condizioni economiche e mi trasformerò in un moderato falco anti-deficit.

Noi siamo contrari all'applicazione di misure di austerity quando i tassi di interesse sono arrivati a zero perché l'economia è invischiata in una trappola della liquidità, e di conseguenza gli effetti contrattivi della stretta sulla spesa pubblica non possono essere compensati con un'espansione monetaria. Gli austeriani rigettano questa tesi? No: si limitano a far finta che non esista. Tra poco analizzerò questo punto, ma prima lasciatemi citare un esempio reale per illustrare quello di cui sto parlando.
Ladies and gentlemen, ecco a voi lo zombie dell'austerità canadese.

Cosa? O meglio, prego? Il Canada anni 90 viene immancabilmente citato come esempio tipico delle virtù espansive dell'austerity. Ed è vero che il Governo di Ottawa in quel decennio mise in atto un drastico risanamento dei conti pubblici e simultaneamente registrò una forte ripresa economica (dopo la recessione di inizio decennio). Guardate il grafico sull'orientamento delle politiche di bilancio. E guardate il grafico sul tasso di disoccupazione.

L'austerity trionfa! Oppure no?
Il caso del Canada è influenzato da diversi fattori specifici, compreso il boom economico dell'era Clinton dall'altro lato del confine: ma l'aspetto più evidente dal punto di vista macroeconomico è che il Canada ha potuto compensare la contrazione della spesa pubblica con un drastico allentamento della politica monetaria, che ha avuto il duplice effetto di alimentare la domanda interna e indebolire il dollaro canadese, dando una mano all'export.

Il punto, naturalmente, è che in questo momento, con i tassi di riferimento prossimi allo zero, niente di tutto questo può succedere in Europa. L'effetto contrattivo dell'austerità non è mitigato da nessun altro fattore. Ed è un'ottima ragione per decidersi a lasciar perdere le politiche di rigore – al contrario, ci sarebbe bisogno di misure di stimolo all'economia – rimandandole a quando i contraccolpi della bolla immobiliare e del debito si saranno esauriti e sarà di nuovo possibile usare la politica monetaria come compensazione alla contrazione della spesa pubblica.

Come rispondono gli economisti della Commissione europea a questa tesi? Sostanzialmente, non rispondono.
Uno studio intitolato «Il dibattito sulla politica di bilancio in Europa: oltre il mito dell'austerità», pubblicato il mese scorso dalla Commissione e a cui Wren-Lewis ha fatto riferimento nel suo intervento, non menziona quasi la politica monetaria.

La domanda allora diventa un'altra: qual è la ragione di questo «punto cieco», che in Europa sembra pesare ancora più che in America?
Azzardo un'ipotesi: forse la ragione principale sta nella ristrettezza del mandato della Bce. Negli Stati Uniti la Federal Reserve ha un duplice mandato: non solo garantire la stabilità dei prezzi, ma anche realizzare la piena occupazione (per questo alla Fed viene naturale considerare quanta differenza faccia se i tassi di interesse sono a zero oppure no). In Gran Bretagna, per qualche ragione, la Banca d'Inghilterra si è mostrata disposta a tollerare per un certo periodo un'inflazione al di sopra del target, e il dibattito tende a focalizzarsi su quello che può fare la Banca centrale per compensare le misure di austerity. Ma in Europa la Bce non parla mai della sua responsabilità di stabilizzare l'economia reale, né del fatto che la trappola della liquidità nel nocciolo duro dell'Europa rischia di compromettere la sua capacità di farlo.

E non è solo che non ne parla: non ci dimentichiamo che nel 2011 la Bce alzò i tassi nonostante una situazione di forte disoccupazione, e che rifiuta costantemente di tagliare i tassi anche ora che l'Europa sta scivolando sempre di più in una nuova recessione (e sempre di più nell'austerità di bilancio).

È davvero incredibile: sono cinque anni ormai che è iniziata questa crisi e i responsabili della politica economica europea parlano ancora come se la tesi centrale delle critiche che gli vengono rivolte fin dal primo giorno nemmeno sapessero che esiste.
© 2013 The New York Times
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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