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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2013 alle ore 17:47.

In Italia, il governo dell’ex Primo Ministro, Mario Monti, ha portato avanti una serie di riforme continuando a sostenere i sindacati e i monopoli aziendali, mentre il Parlamento italiano ha respinto diverse proposte di riduzione della spesa pubblica da parte del governo. Il mercato del lavoro e diversi mercati di prodotto sono rimasti chiusi nonostante l’estrema necessità di aumentare la competizione, di ridurre i prezzi di produzione e aumentare la produttività.

Dopo cinque anni di crescita rallentata e aumento della disoccupazione, gli elettori dei vari paesi indebitati, come gli italiani (e prima ancora i francesi), arriveranno quasi certamente ad opporsi a nuove riduzioni della spesa, aumenti delle tasse e a una dolorosa deregolamentazione. L’Europa deve trovare delle politiche più efficaci per ridurre i costi di produzione e portarli al livello di quelli della Germania.

Lo storico economista ha dimostrato in un suo che in 40 anni di negoziazioni che hanno portato all’adozione della moneta unica, tutti i problemi che ora attanagliano l’eurozona erano stati ripetutamente discussi. Tutti sapevano che un’unione monetaria avrebbe richiesto necessariamente l’implementazione di regole bancarie e fiscali da rispettare. Ma queste regole non sono mai state adottate.

Prima dell’euro, i paesi aggiustavano i costi di produzione mal allineati attraverso una svalutazione o rivalutazione dei loro tassi di interesse. La politica di austerità fiscale è invece un misero sostituto di questi aggiustamenti. Ha efficacia con tempi molto lenti (quando riesce ad essere realmente efficace) in quanto i governi eletti sono spesso riluttanti a mettere in pratica le loro promesse, e tendono a non sentirsi legati alle promesse fatte dalle amministrazioni precedenti (in particolar modo se devono la loro vittoria agli elettori che protestano contro anni trascorsi a stringere la cinghia senza traccia di una ripresa della crescita). Allo stesso modo, i politici sono riluttanti ad adottare una politica di deregolamentazione che elimini i privilegi speciali sponsorizzati dallo stato.

Per diversi anni, ho proposto una politica in grado di combinare rigore fiscale e crescita. Bisognerebbe che tutti i paesi pesantemente indebitati dell’Europa del sud decidessero di unirsi ad un euro debole che fluttui rispetto al più forte euro del nord. Una volta riusciti a ridurre i costi di produzione del 20-25% attraverso l’euro debole, allora i paesi altamente indebitati potrebbero rientrare nell’euro forte accettando di implementare una serie di riforme fiscali soggette all’approvazione della Commissione europea (e quindi dei paesi creditori dell’euro forte). Dopotutto, un tasso di cambio fisso o una valuta comune richiedono dei limiti all’indipendenza fiscale.

Le elezioni italiane hanno lanciato un chiaro messaggio. Ovvero che dopo cinque anni di declino degli standard di vita, gli elettori non sono più disposti ad accettare nuove politiche di austerità e nuovi tagli alla spesa senza crescita. Il ripristino di un euro solido richiede delle politiche in grado di incoraggiare la crescita, contenere la spesa pubblica e riformare i mercati del lavoro e dei prodotti che sono oggi troppo pesantemente regolamentati.

Traduzione di Marzia Pecorari

Allan H. Meltzer, professore di economia politica presso la Tepper School della Carnegie Mellon University e Distinguished Visiting Fellow presso lo Hoover Institution, è l’autore di

Copyright: Project Syndicate, 2013.

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