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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2013 alle ore 11:14.

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Nel 1816 il debito pubblico del Regno Unito toccò il 240 per cento del prodotto interno lordo: era il lascito di 125 anni di guerra contro la Francia. Sapete quale fu il disastro economico che fece seguito a questo schiacciante fardello di debiti? La rivoluzione industriale.
Eppure i professori di Harvard Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff sostengono, in un famoso studio, che la crescita rallenta drasticamente quando il rapporto debito/Pil supera il 90 per cento. L'esperienza britannica dell'Ottocento è un'eccezione clamorosa perché segnò l'inizio di quel costante incremento del tenore di vita che è un tratto caratteristico del mondo in cui viviamo. La crescita di quell'era è la progenitrice della crescita sostenuta che si è affermata in seguito in ogni parte del mondo.

Come fa notare Mark Blyth della Brown University in un nuovo e splendido libro, grandi economisti del Settecento come David Hume e Adam Smith mettevano in guardia dai rischi di un debito pubblico troppo alto. Lo Stato britannico, invischiato in frequenti conflitti bellici, li ignorò. Eppure i loro ammonimenti dovevano apparire fin troppo credibili: fra il 1815 e il 1855, per esempio, il servizio del debito ha rappresentato quasi la metà di tutta la spesa pubblica del Regno Unito.

Eppure il Regno Unito riuscì a eliminare il debito accumulato semplicemente attraverso la crescita economica. All'inizio degli anni 60 dell'Ottocento, l'indebitamento dello Stato era già sceso al di sotto del 90 per cento del Pil. Secondo il compianto storico dell'economia Angus Maddison, il tasso di crescita annuo composto dell'economia dal 1820 all'inizio degli anni 60 dell'Ottocento è stato del 2 per cento (dell'1,2 per cento per il Pil pro capite). Potrà non sembrare granché, di fronte ai livelli di crescita delle epoche successive, ma si tenga conto che una crescita del genere avvenne in un Paese gravato da un debito colossale e con una capacità di raccolta fiscale molto limitata. E per di più il debito non era stato accumulato per scopi produttivi, ma usato per finanziare la più distruttiva di tutte le attività, la guerra. La verità, molto semplicemente, è che non esiste nessuna legge ferrea che stabilisca che quando il debito supera il 90 per cento del Pil la crescita precipita.

La critica del saggio di Reinhart e Rogoff pubblicata recentemente da Thomas Hendon, Michael Ash e Robert Pollin dell'Università del Massachusetts (sede di Amherst) lancia tre accuse specifiche contro le conclusioni dei due professori di Harvard: un banale errore nella formula del foglio elettronico, omissioni di dati e procedure di aggregazione inusuali. Una volta corretti i dati, sostengono i tre ricercatori, la crescita annua media dal 1945 in poi nei Paesi avanzati con un debito superiore al 90 per cento del Pil è stata del 2,2 per cento, contro il 4,2 per cento quando il debito è al di sotto del 30 per cento, il 3,1 per cento quando è fra il 30 e il 60 per cento e il 3,2 per cento quando è fra il 60 e il 90 per cento. Nella loro risposta, Reinhart e Rogoff riconoscono l'errore nella formula, ma respingono la critica sul metodo di aggregazione dei dati. Io concordo con Hendon, Ash e Pollin, per le ragioni che ha fornito Gavyn Davies: l'argomento che i dati che coprono un periodo prolungato di debito alto dovrebbero pesare di più rispetto ai dati che coprono un periodo breve mi sembra convincente.

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