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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2013 alle ore 19:17.

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NEW HAVEN – Il Pil cinese frena al 7,7%. La crescita annua del Prodotto interno lordo nel primo trimestre di quest’anno è stata di fatto inferiore alle attese. Anche se i dati non sono stati catastrofici rispetto alle previsioni generali dell’8,2%, molti (incluso il sottoscritto) si aspettavano un secondo rimbalzo positivo del trimestre dal rallentamento conclusosi nel terzo trimestre del 2012. In tutto il mondo gli scettici sulla Cina sono stati rapidi a buttarsi su questo dato, esprimendo i timori di uno stallo, o persino di un temuto double dip.

Ma un rallentamento del Pil è positivo per la Cina, dato che riflette la trasformazione strutturale da tempo attesa dell’economia più dinamica del mondo. Le linee generali di questa trasformazione sono ben note: la transizione da una crescita guidata da export e investimenti a una struttura economica più incentrata sui consumi privati domestici. Meno noto è il fatto che una Cina ribilanciata debba avere un tasso di crescita più lento – i cui primi segnali potrebbero essere evidenti ora.

Una Cina ribilanciata può crescere più lentamente per una semplice ragione: traendo un maggiore supporto dalla domanda al consumo trainata dai servizi, il nuovo modello cinese abbraccerebbe una formula di sviluppo più incentrata sul lavoro. I numeri sembrano confermare questa situazione. Il settore dei servizi necessita di circa 35% di posti di lavoro in più per unità di Pil rispetto al manifatturiero e all’edilizia – i motori primari del vecchio modello.

Questa percentuale ha implicazioni potenzialmente enormi, perché significa che la Cina potrebbe crescere a un tasso annuo nel range del 7-8% e raggiungere comunque i suoi obiettivi in relazione all’occupazione e alla riduzione della povertà. La Cina ha lottato per riuscire ad ottenere questi obiettivi con una crescita inferiore al 10%, perché il vecchio modello non generava abbastanza posti di lavoro per unità di produzione. Nel momento in cui il settore manifatturiero cinese si è avvicinato alla catena del valore, le aziende hanno iniziato a sostituire sempre più lavoratori con le macchine di ultima generazione. Di conseguenza, il modello economico ha generato una dinamica di crescita tesa al risparmio di manodopera e ad alta intensità di capitale.

Per certi versi, ha senso. La sostituzione capitale-manodopera è al centro delle moderne strategie di produttività per le economie fondate sul manifatturiero. Ma in Cina ha creato una lacuna profonda: sempre più carente di lavori per unità di produzione, necessita di maggiori unità di produzione per assorbire la manodopera in eccesso. Alla fine questo è diventato più un problema che una soluzione. Il vecchio modello manifatturiero, che alimentava un incremento senza precedenti di 20 volte nel reddito pro capite rispetto all’inizio degli anni Novanta, ha altresì gettato i semi di un eccessivo consumo delle risorse e una degradazione ambientale.

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