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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2013 alle ore 15:50.

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LONDRA – E’ dagli anni ’70 che gli economisti sostengono che un’unione monetaria non è sostenibile senza un’unione fiscale. Ma i leader dell’eurozona non hanno mai ascoltato il loro consiglio e le conseguenze sono sempre più evidenti. L’Europa si trova ora ad affrontare, infatti, una scelta difficile: correggere questo difetto fondamentale di progettazione e andare verso un’unione fiscale, o abbandonare del tutto la valuta unica.

Se si dovesse scegliere la seconda opzione, le conseguenze sarebbero devastanti. E’ pur vero che se da un lato la volontà di istituire un’unione monetaria poteva sollevare qualche domanda negli anni ’90, dall’altro smantellare l’eurozona adesso significherebbe provocare un profondo sconvolgimento economico, sociale e politico in tutta l’Europa. Per evitare un risultato simile, i leader europei dovrebbero iniziare a delineare e implementare delle strategie mirate ad avvicinare l’Europa ad un’unione di tipo fiscale.

Di certo, un’unione fiscale come quella degli Stati Uniti è una prospettiva molto distante che i leader dell’eurozona non dovrebbero aspettarsi di raggiungere in tempi brevi, o persino nel corso delle loro vite. Ma ciò non significa che la creazione di un’unione fiscale sia solo una chimera. Dei passi anche piccoli nella direzione giusta possono fare adesso una differenza fondamentale.

Una strategia di successo dovrebbe prevedere la correzione di uno dei principali difetti dell’eurozona rappresentato dal fatto che i governi membri emettono il debito in euro, ovvero in una valuta sulla quale non hanno il controllo. Di conseguenza, non sono poi in grado di fornire la garanzia agli obbligazionisti della disponibilità di liquidità per il pagamento degli interessi maturati.

La sfiducia e i timori che questo contesto provoca nei mercati obbligazionari può portare a delle crisi di liquidità che, creando una prospettiva realistica, portano i paesi sempre più vicini al default. Gli stessi paesi arrivano poi ad essere obbligati ad implementare dei programmi di austerità che portano a contesti di profonde recessioni e, in ultima istanza, alle crisi bancarie.

Ma se da un lato le misure di austerità sono adeguate nei paesi che hanno avuto una spesa eccessiva in passato, dall’altro l’austerità che i mercati finanziari, presi dal panico, impongono sui paesi può avere forti ripercussioni in termini sociali e politici. Di fatto, diversi paesi del sud dell’Europa, come Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, stanno vivendo proprio questa situazione.

Per superare questo fondamentale difetto di progettazione, i debiti pubblici dovrebbero essere aggregati. In questo modo le economie più deboli sarebbero protette dai movimenti distruttivi e alimentati dal panico dei mercati finanziari che, in teoria, potrebbero colpire qualsiasi paese membro, persino i paesi che al momento sono più forti.

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