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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2013 alle ore 18:49.

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Kalnciema, Riga (Afp)Kalnciema, Riga (Afp)

Martin Wolf, l'editorialista del Financial Times, recentemente ha scritto un ottimo articolo sui tentativi di portare a esempio i Paesi baltici, in particolare la Lettonia, come prova del fatto che l'austerity funziona. Wolf in generale propone argomenti simili a quelli che ho già avanzato io in altre occasioni: il fatto che il Pil sia ancora largamente al di sotto del picco ante-crisi e il fatto che la disoccupazione rimanga molto alta nonostante un forte flusso migratorio verso altri Paesi.

Wolf aggiunge che per certi versi l'aggiustamento nei Paesi baltici è stato reso più facile dal fatto che si tratta di economie molto aperte che ancora non hanno raggiunto il tenore di vita dei Paesi occidentali, e questo significa che è relativamente facile determinare una crescita rapida delle esportazioni.

Vorrei però sollevare un altro punto. Chi elogia i risultati dei Paesi baltici di solito replica alle osservazioni di chi gli fa notare che la disoccupazione è ancora alta e il Pil nettamente al di sotto del picco ante-crisi sostenendo che i livelli di produzione e disoccupazione nel 2006 e nel 2007 erano frutto della bolla speculativa, e che non dobbiamo aspettarci che si possa tornare a quei livelli.

È una tesi molto spinosa, e probabilmente quelli che la sostengono non se ne rendono conto. Innanzitutto, l'idea che una bolla possa gonfiare il prodotto interno lordo e l'occupazione molto al di sopra del livello di sostenibilità è discutibile. È noto che le economie possono funzionare molto al di sotto della loro capacità produttiva, ma l'inverso è tutto da dimostrare. Anzi, è normale valutare le tendenze della capacità produttiva nell'interpolazione «da picco a picco» partendo dal presupposto che i valori massimi sono molto più simili tra loro dei valori minimi, e che una situazione di «iperoccupazione» può sì verificarsi, ma solo in una certa misura.

Applichiamo la tesi dei «baltofili» agli Stati Uniti degli anni 30. Dal 1929 al 1933 l'economia americana precipitò, mentre dal 1933 al 1936 crebbe a ritmi molto sostenuti. Nel 1935 il Pil aveva già superato il livello del 1924; nel 1936 aveva superato il livello del 1929. Significa che la Grande Depressione era finita e che gli Stati Uniti erano una grande success story? Quasi nessuno vi risponderebbe di sì: è fuori di dubbio che eravamo ancora molto più indietro di dove avremmo dovuto essere.

Ma c'è una falla logica ancora più grande nell'esaltazione dell'esperienza dei Paesi baltici, ed è l'affermazione che la Lettonia rappresenta la prova che l'austerità come risposta a un'economia gravemente depressa funziona. Ma se qualcuno fa notare che Pil e occupazione, nonostante la ripresa, sono ancora nettamente al di sotto dei livelli ante-crisi, si sente rispondere che quei livelli erano comunque insostenibili. Capite dov'è il problema? Gli apologeti del rigore, quando affermano che il picco ante-crisi non è un obiettivo realistico, in pratica stanno dicendo che la depressione dell'economia lettone in realtà non è mai stata profonda come si ritiene.

Io la penso diversamente, ma il punto è che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca: non si può affermare che l'unica soluzione per un'economia in difficoltà sia l'austerity e al tempo stesso giustificare la performance della Lettonia dicendo che il boom precedente era un'illusione.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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