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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2013 alle ore 11:20.

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E allora perché ci stiamo comportando in questo modo?

La prima ragione, la ragione più profonda. è che la nostra civiltà è costruita sui combustibili fossili, come quella dell'antica Roma era costruita sugli schiavi. Quello che successe all'inizio del XIX secolo non fu una «rivoluzione industriale», ma una «rivoluzione energetica». Riversare anidride carbonica nell'atmosfera è quello che facciamo. Come ho scritto su Climate Policy, lo stile di vita ad alta intensità energetica, un tempo prerogativa dei Paesi ad alto reddito, si è esteso a tutto il mondo. La convergenza economica fra Paesi emergenti e Paesi ad alto reddito sta facendo crescere la domanda di energia più rapidamente di quanto le politiche di risparmio energetico non riescano a ridurla. Non stanno aumentando solo le emissioni totali di anidride carbonica, ma anche le emissioni pro capite, anche a causa del massiccio impiego di carbone per la produzione di energia elettrica in Cina.

Una seconda ragione è l'ostilità verso qualsiasi intervento sul libero mercato. Questa ostilità è dovuta in parte, sicuramente, a miopi interessi economici, ma non bisogna sottovalutare la forza delle idee. Ammettere che un'economia libera possa generare un costo esterno di dimensioni colossali per tutto il mondo vuol dire ammettere che la regolamentazione pubblica su vasta scala che gli odiati ambientalisti non cessano di invocare è giustificata. Per molti libertari o liberali classici l'idea stessa è insopportabile: è molto più semplice negare la rilevanza delle opinioni scientifiche.

Un sintomo in tal senso è quando ci si attacca a delle minuzie, per esempio facendo notare che le temperature medie globali recentemente non sono aumentate, anche se sono molto più alte di un secolo fa: e non è la prima volta che si verificano diminuzioni delle temperature all'interno di una tendenza generale all'incremento.
Una terza ragione può essere la pressione di dover dare una risposta alle crisi immediate, che dal 2007 in poi hanno assorbito tutta l'attenzione dei leader politici nei Paesi ad alto reddito.

Una quarta ragione è la commovente fiducia che se le cose dovessero mettersi veramente male l'ingegnosità umana troverà qualche modo brillante per gestire gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici.
Una quinta ragione è la difficoltà di arrivare ad accordi efficaci e applicabili sul controllo delle emissioni ,dovendo mettere d'accordo così tanti Paesi: niente di strano, quindi, che gli accordi che vengono firmati sembrino voler dare l'impressione di agire, più che agire realmente.

Una sesta ragione è l'indifferenza verso gli interessi di persone che nasceranno in un futuro relativamente lontano. Come dice il vecchio adagio: «Perché devo preoccuparmi per le generazioni future? Che cos'hanno mai fatto loro per me?».
Un'ultima ragione (collegata a quella di prima) è la necessità di trovare il giusto equilibrio fra Paesi poveri e Paesi ricchi, fra quelli che hanno emesso gran parte dei gas a effetto serra in passato e quelli che li emetteranno in futuro.
Più si ragiona sul problema, meno si riesce a escogitare un'azione efficace. Ce ne stiamo a guardare mentre la concentrazione di gas serra nel mondo aumenta: se dovesse portare al disastro, sarà troppo tardi per fare qualcosa.

Cosa si potrebbe fare per invertire la rotta? Personalmente sono sempre più convinto che puntare tutto sulla persuasione morale non serve a niente: le persone non agiranno – non nella misura che sarebbe necessaria – perché si preoccupano per gli altri, anche se quegli altri sono i loro discendenti ; la maggior parte delle persone si preoccupa principalmente di sé.

Quasi tutti oggi pensano che un'economia a basse emissioni sarebbe un'economia di privazioni per tutti, e non accetteranno mai una situazione del genere. Vale per gli abitanti dei Paesi ad alto reddito, che vogliono conservare quello che hanno, e vale per gli abitanti di tutti gli altri Paesi, che vogliono avere quello che hanno i Paesi ad alto reddito. Perciò, una condizione necessaria (anche se non sufficiente) è elaborare una visione politicamente vendibile di un'economia a basse emissioni che garantisca anche la prosperità. Non è questo lo scenario che si prefigura oggi la gente. È necessario investire risorse importanti in quelle tecnologie in grado di rendere questo futuro realtà.

Ma non basta questo. Se si vuole che un'opportunità simile appaia più credibile, è necessario costruire anche istituzioni in grado di concretizzarla.
Al momento non esistono né le condizioni tecnologiche né quelle istituzionali. In assenza delle une e delle altre, non c'è volontà politica che possa fare qualcosa di concreto riguardo al processo alla base del nostro esperimento climatico. Si parla, si riparla, ci si batte il petto, ma non si prende – come prevedibile – nessuna misura concreta. Se vogliamo che tutto ciò cambi, dobbiamo cominciare offrendo all'umanità un futuro molto migliore. La paura di un orrore remoto non basta.

Copyright The Financial Times Limited 2013
(c) 2013 The Financial Times Limited
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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