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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2013 alle ore 19:34.

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WHAVEN – I tuttologi si prodigano a parlare di ripresa economica americana. Tutti gli occhi sono puntati sulle famiglie. Grazie alla disoccupazione in calo, ai valori immobiliari in crescita e ai prezzi azionari in rialzo, sempre più esperti, operatori economici e policy maker sono giunti alla conclusione che il consumatore americano sia finalmente tornato.

Non credeteci. Prima di tutto, considerate questi fattori: per oltre 21 trimestri dall’inizio del 2008, i consumi personali reali (depurati dall’inflazione) sono cresciuti a un tasso medio annuo pari appena allo 0,9%. Si tratta senza ombra di dubbio del periodo di debolezza più prolungato mai registrato per i consumi americani dalla fine della seconda guerra mondiale – e un massiccio rallentamento dal passo pre-crisi corrispondente a una crescita annua dei consumi reali pari al 3,6% dal 1996 al 2007.

Con i consumi delle famiglie pari al 70% dell’economia americana, quel divario di 2,7 punti percentuali tra i trend pre-crisi e quelli post-crisi è stato abbastanza per togliere 1,9 punti percentuali dal trend post-crisi relativo alla crescita del Pil reale. La causa è da ricercare nella disoccupazione americana inaccettabilmente elevata.

Per valutare appieno il carattere unico di questo calo della domanda al consumo, i trend nei passati 21 trimestri devono essere suddivisi in due sottoperiodi distinti. Il primo riguarda il declino annuo al 2,2% dal primo trimestre del 2008 fino al secondo trimestre del 2009; si tratta del disastro indotto dalla crisi, evidenziato da un collasso annuo al 4,5% negli ultimi due trimestri del 2008.

Il secondo riguarda il periodo successivo a questa caduta durata sei trimestri, iniziato a metà del 2009 e conclusosi all’inizio del 2013 e copre 15 trimestri di crescita annua dei consumi che registra una media pari appena al 2% – una ripresa che impallidisce rispetto alle attese sulla base dei precedenti cicli di spesa al consumo.

Questo punto chiave sembra ormai perso nella folla della ripresa dei consumi. Negli ultimi discorsi e dibattiti con gli attuali e con gli ex banchieri centrali, sono stato criticato per essermi concentrato troppo sul trend allo 0,9% degli ultimi 21 trimestri e troppo poco sulla fase di ripresa al 2% del periodo post-crisi. Almeno è una ripresa, affermano, nonché un segnale di guarigione che può essere attribuito principalmente agli eroici e non convenzionali sforzi della Federal Reserve americana.

Questo ci porta alla seconda parte dell’argomentazione contro l’ottimismo: l’analisi. Uno dei primi concetti che apprende uno studente di economia in un corso base di macroeconomia è pent-up demand o domanda repressa. I consumi discrezionali sono comunemente contenuti durante le recessioni, soprattutto per quanto riguarda i beni durevoli nel tempo, come auto, mobili ed elettrodomestici. Una volta terminata la recessione e avviata la ripresa, prende il sopravvento la risposta dell’adeguamento delle scorte, dal momento che le famiglie compensano le sostituzioni accantonate e aggiornano i beni durevoli di vecchia data.

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