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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2013 alle ore 19:34.

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Durante gran parte del periodo postbellico, questo annuncio post-recessione di domanda repressa è stata una risorsa potente di supporto alla ripresa economica. Nelle otto fasi di ripresa a partire dagli inizi degli anni Cinquanta (escluso il breve tentativo seguito al calo indotto dai controlli sui crediti degli anni Ottanta), la risposta dell’adeguamento delle scorte ha fatto lievitare la crescita dei consumi reali del 6,1%, in media, per i cinque trimestri successivi alle fasi di contrazione economica; punte di crescita al 7-8% non sono state infrequenti per un trimestre o due.

La disponibilità della domanda repressa nell’attuale ciclo, invece, ha registrato una crescita annua pari appena al 3% nei cinque trimestri che vanno dagli inizi del 2010 agli inizi del 2011. Inoltre, il maggior guadagno trimestrali è stato un incremento del 4,1% nel quarto trimestre del 2010.

Si tratta di un risultato sorprendente. La peggiore recessione dei consumi della storia moderna, che ha evidenziato un collasso record nelle spese dei beni durevoli nel 2008-2009, avrebbe dovuto innescare un’impennata della domanda repressa. Eppure non ha fatto altro che questo. La disponibilità della domanda repressa dei consumi è stata invece letteralmente la metà di quella dei precedenti cicli economici.

Il terzo punto è più diagnostico: il modello profondamente anemico della domanda al consumo americano post-crisi è il risultato da una profonda recessione di bilancio simile a quella del Giappone. Col senno di poi ora sappiamo che la crescente spesa al consumo pre-crisi durata 12 anni si basava sulle precarie fondamenta delle bolle azionarie e creditizie. Una volta scoppiate le bolle, i consumatori sono rimasti con un massiccio peso di debiti e con i risparmi esauriti.

L’avversione alla spesa registrata nelle fasi post-bolla e il relativo focus sul risanamento dei bilanci riflettono ciò che l’economista del Nomura Research Institute, Richard Koo, ha chiamato potente sindrome del rifiuto del debito. Mentre questa formula è stata applicata da Koo alle aziende giapponesi nel primo decennio perduto del Giappone risalente agli anni Novanta, vale altrettanto per i consumatori americani attanagliati dalla crisi, che ancora lottano con le forti pressioni dei debiti eccessivi, dei mutui e dei risparmi personali tristemente inadeguati.

Malgrado la sua non convenzionale manovra di allentamento monetario, la Fed sta tentando di creare una scorciatoia dall’imperativo di risanamento dei bilanci delle famiglie. Ed è qui che entrano in gioco gli effetti ricchezza dei prezzi immobiliari ora in ripresa e il mercato azionario in rialzo. Ma questi nuovi effetti ricchezza sono davvero tutto ciò che dichiarano?

Sì, il mercato azionario ha raggiunto ora il suo massimo – ma solo in dollari correnti. In termini reali, S&P 500 è ancora 20% al di sotto del suo picco di gennaio 2000. In modo analogo, mentre il dei prezzi immobiliari americani è ora salito al 10,2% verso la fine del mese di marzo 2013, resta il 28% al di sotto del suo picco del 2006. La creazione della ricchezza conta, ma non fino a quando recupera la distruzione della ricchezza che l’ha preceduta. Purtroppo la maggior parte delle famiglie americane sono ancora lontane dalla ripresa sul fronte bilanci.

Inoltre, sebbene il tasso di disoccupazione americana abbia registrato un calo, ciò riflette in gran parte un allarmante declino della partecipazione della forza lavoro, con oltre 6,5 milioni di americani dal 2006 che hanno rinunciato a cercare lavoro. Allo stesso tempo, anche se la fiducia dei consumatori è in ripresa, resta ben al di sotto delle indicazioni pre-crisi.

In sintesi, l’incubo del consumatore americano è tutt’altro che finito. Lasciando da parte i frivoli mercati, la guarigione è solo all’inizio.
Traduzione di Simona Polverino

Stephen S. Roach, membro della facoltà di Yale ed ex presidente non esecutivo di Morgan Stanley Asia, è autore di The Next Asia.

Copyright: Project Syndicate, 2013.

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