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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2013 alle ore 13:01.

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CAMBRIDGE – Sembra che l’austerità sia passata di moda nell’Eurozona – almeno per il momento. La Commissione europea ha concesso a Spagna, Francia e Paesi Bassi più tempo per adeguarsi al tetto del 3% del rapporto deficit/Pil dell’Unione europea. Anche le autorità governative tedesche ora ammettono che per rilanciare le economie della periferia europea serva qualcosa in più del rigore fiscale.

Secondo la Commissione, quel qualcosa in più sono le riforme strutturali: un allentamento delle restrizioni ai licenziamenti e altre riforme per il mercato del lavoro, la liberalizzazione delle professioni chiuse e la rimozione dei controlli sui mercati di beni e servizi.

Ma si tratta solo del vino vecchio in una bottiglia nuova. Da quando è scoppiata la crisi dell’Eurozona, la troika (Commissione, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea) insiste su tali riforme strutturali come parte di qualsiasi pacchetto di assistenza finanziaria. È stato ribadito più volte a Grecia, Spagna e ad altri Paesi quanto tali riforme fossero necessarie per incentivare produttività e competitività e contribuissero a rilanciare la crescita.

A distanza di tre anni, l’esperienza della Grecia parla da sé. Come ribadisce un nuovo , le riforme strutturali non sono riuscite a produrre gli effetti desiderati, in parte perché sono andate incontro a difficoltà politiche e di implementazione e in parte perché il loro potenziale di incrementare la crescita nel breve termine è stato ingigantito. Né tanto meno hanno funzionato le riforme del mercato del lavoro in Spagna.

Niente di tutto questo giunge a sorpresa. Le riforme strutturali aumentano la produttività in pratica attraverso due canali complementari. Il primo: i settori a bassa produttività tagliano sulla manodopera. Il secondo: i settori ad alta produttività espandono e assumono più manodopera. Entrambi i processi sono necessari per far sì che le riforme aumentino la produttività a livello dell’intero sistema economico.

Ma quando la domanda aggregate è depressa – come nel caso della periferia europea – il secondo meccanismo, alla meglio, funziona a fatica. È facile capire perché: semplificare le procedure di licenziamento o l’avvio di nuove attività ha scarsi effetti sulle assunzioni quando le aziende hanno già un eccesso di capacità e difficoltà a trovare clienti. Quindi otteniamo solo il primo effetto, e quindi un aumento della disoccupazione.

Non c’è nulla di nuovo nell’approccio della Commissione europea e non ci sono molte ragioni per cui essere ottimisti che la nuova strategia funzioni meglio della vecchia. Le riforme strutturali – per quanto auspicabili nel lungo periodo – non sono un rimedio al problema legato alla crescita a breve termine di questi Paesi.

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