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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2013 alle ore 13:33.

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Wolf: parlare con leggerezza può far male all'economia

Dall'inizio di maggio la politica monetaria ha imboccato con decisione la via dell'irrigidimento, sotto forma di un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato di Governi con elevato merito di credito: il rendimento dei buoni del Tesoro americani decennali è salito di 88 punti base fra il 2 maggio e la fine della settimana scorsa, arrivando al 2,51 per cento. Si tratta di un irrigidimento evidente delle condizioni monetarie: l'aumento dei rendimenti rende più costoso indebitarsi per il settore privato.

Non è chiaro, però, se sia frutto di un'azione deliberata: i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine non sono un obbiettivo dichiarato della politica monetaria; inoltre, questo balzo in avanti dei tassi di interesse è dovuto anche a un aumento della fiducia. È chiaro, tuttavia, che anche tutti i discorsi sulla necessità di «assottigliare» l'allentamento quantitativo Usa hanno giocato un ruolo. Non è facile gestire una politica monetaria i cui effetti dipendono dalle aspettative, ma è il caso di farlo meglio: irrigidire ora è prematuro.
Non è sicuramente questa l'idea della Banca dei regolamenti internazionali, che nella sua Relazione annuale invoca una pronta interruzione delle politiche di allentamento: «Le autorità devono accelerare le riforme strutturali affinché le risorse economiche possano essere utilizzate nel modo più produttivo. Le famiglie e le imprese devono completare il risanamento dei loro bilanci. I governi devono raddoppiare gli sforzi per garantire la sostenibilità dei conti pubblici. Gli organi di regolamentazione devono adeguare le regole a un sistema finanziario sempre più interconnesso e intricato e assicurare che le banche si dotino di risorse di capitale commisurate ai rischi che ne derivano».

Sono banalità da banca centrale. Peggio ancora: non si capisce come la Bri possa pensare che le sue raccomandazioni abbiano una logica se estese a tutta l'economia mondiale. In sostanza l'organizzazione di Basilea dice che i settori privati dovrebbero accrescere il loro surplus finanziario, mentre gli operatori pesantemente indebitati dovrebbero ripagare il loro debito e i Governi dovrebbero ridurre il loro disavanzo. A meno di non presupporre che i Paesi avanzati passino ad avere un grosso attivo nella bilancia delle partite correnti con il resto del mondo, questa è la ricetta sicura per una depressione. La Bri non prende nemmeno in considerazione la possibilità che la politica monetaria sia stata inefficace perché ha dovuto competere con la stretta sui conti pubblici raccomandata dalla Bri stessa.

Almeno altri tre punti si impongono all'attenzione. Il primo è che le due economie colpite dalla crisi che hanno fatto più ricorso a politiche monetarie non convenzionali – gli Stati Uniti e la Gran Bretagna – sono anche quelle meno affette da rigidità strutturali: in questo caso, quindi, niente azzardo morale. Solo un sadico potrebbe sostenere che le condizioni monetarie accomodanti hanno attutito la necessità di fare le riforme per i Paesi dell'Europa meridionale. Il secondo punto è che ignora il fatto che una delle ragioni per cui non si è riusciti a ridurre il debito più in fretta è la debolezza dell'economia, provocata da quell'austerity che la Bri raccomanda. Il terzo è che l'inflazione di fondo negli Stati Uniti e nell'Eurozona è a livelli bassi e sta calando: un irrigidimento accelerato delle condizioni monetarie rischia di spingere queste economie in una deflazione vera e propria, un rischio che la Bri non menziona neppure.

James Bullard, presidente della Federal Reserve di St Louis, ha criticato l'ultima dichiarazione di politica monetaria del Fomc (Comitato federale del mercato aperto, l'organismo della Fed incaricato di sovrintendere alle operazioni di mercato aperto), affermando che quest'ultimo «avrebbe dovuto segnalare con più forza la sua volontà di difendere l'obbiettivo di inflazione del 2 per cento alla luce dei recenti dati bassi sull'inflazione». Bullard ha ragione: le previsioni della Federal Reserve mostrano un'inflazione di fondo al 2 per cento o meno fino al 2015 incluso. Oltre a questo afferma anche che «la decisione del comitato di autorizzare il presidente della Fed a elaborare un piano più dettagliato per ridurre il ritmo di acquisto di attività è stata intempestiva». Si dovevano aspettare «segnali più tangibili che l'economia si sta rafforzando e che l'inflazione sta tornando verso l'obbiettivo dichiarato, prima di fare un annuncio del genere». Sottoscrivo.

Se la Fed fosse stata più accorta, forse non ci sarebbe stato questo irrigidimento prematuro. Sta di fatto che il calo dei prezzi dei titoli finanziari più importanti del mondo potrebbe penalizzare concretamente la ripresa, perché farebbe calare i prezzi delle attività più rischiose in tutto il mondo, non da ultimo nei Paesi emergenti. Gavyn Davies mette in risalto i pericoli di una correzione del genere citando Warren Buffett, quando dice che scopriamo chi sta nuotando nudo solo nel momento in cui la marea si ritira.
La Bri sostiene che se i rendimenti negli Stati Uniti dovessero salire di 3 punti percentuali lungo l'intera struttura per scadenze, le perdite ai prezzi di mercato correnti sarebbero superiori a 1.000 miliardi di dollari, ossia l'8 per cento del PIL. In altri paesi, sarebbero ancora più accentuate. Un brusco «riavvolgimento» dei carry trades (quando gli investitori prendono a prestito a breve termine e prestano a lungo termine, o prendono a prestito in valute con tassi di interesse bassi e prestano in valute con tassi di interesse più alti) può scatenare shock finanziari. Anzi, una delle ragioni per cui le autorità monetarie devono muoversi con cautela è che chi investe in questo tipo di speculazioni sa di essere molto vulnerabile in caso di fuggi fuggi generale e se la darà a gambe appena avrà il timore che altri stiano per fare altrettanto, creando un forte rischio di panico che si autoalimenta.

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