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Questo articolo è stato pubblicato il 16 agosto 2013 alle ore 18:35.

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PECHINO – Dal 2010 i circoli finanziari globali sono ossessionati dal rallentamento economico della Cina. Mentre il Paese ha da poco soddisfatto il target ufficiale del 7,5% per la crescita annua del Pil nel secondo trimestre di quest’anno – generando non poca ansia in tutto il mondo – il governo cinese sembra apparentemente calmo e non dà alcun indicazione in merito al progetto di lanciare un altro pacchetto di stimoli. I leader cinesi hanno davvero la situazione sotto controllo?

Di fatto, la posizione del governo cinese – sulla base della Liconomia del premier Li Keqiang, che dà priorità alla riforma strutturale rispetto a una rapida crescita del Pil – si rivelerà nel miglior interesse della Cina e del resto del mondo. I problemi strutturali della Cina – tra cui le restrizioni sulla mobilità del lavoro, un sistema finanziario rigido e carico di rischi e l’eccessivo ricorso agli investimenti statali – ne stanno minacciando la stabilità e lo sviluppo economico. Tenuto conto che il rapido tasso di crescita del Pil cinese resta notevole rispetto al resto del mondo, la necessità di dare enfasi alla riforma strutturale è chiara.

Malgrado le dichiarazioni ben intenzionate e i piccoli passi avanti, la nuova leadership cinese deve però stabilire ancora un concreto e ardito piano di riforma che sia in grado di risolvere i profondi problemi dell’economia cinese.

Lo scorso febbraio, ad esempio, il Consiglio di stato ha annunciato i piani per riformare l’hukou (il sistema di registrazione dei nuclei familiari), che assegna la residenza legale in base al luogo di nascita della persona. Il sistema rende molto difficile la rilocalizzazione, poiché coloro che non sono in grado di acquisire i permessi di residenza locale devono far fronte agli enormi ostacoli per avere accesso ai servizi pubblici quando migrano in altre province. Ai loro figli viene addirittura vietato di fare gli esami per l’ingresso al college.

Il piano di riforma avrebbe dovuto migliorare la situazione consentendo agli emigrati verso le piccole città di acquisire più facilmente i permessi per la residenza locale, allentando al contempo i requisiti nelle città di medie dimensioni. Ma i tentativi di riformare il sistema si sono scontrati con una forte resistenza, soprattutto da parte dei governi locali e dei residenti, che temono il peso che una migrazione non regolamentata verso le città potrebbe avere sulle risorse, sull’occupazione e sui servizi. Resta pertanto elusiva una reale strategia di riforma dell’hukou.

In modo analogo, il governo è stato lento nel formulare e implementare efficaci riforme del mercato finanziario. Le speranze erano molte all’inizio di quest’anno, quando il Consiglio di stato annunciò una strategia finalizzata alla liberalizzazione del conto capitale, fissando una politica più flessibile sui tassi di cambio e aprendo il settore finanziario al capitale domestico privato. Ma il governo ha poi dato retta agli ammonimenti degli economisti influenti sui rischi di un eventuale allentamento troppo rapido sui controlli di capitale.

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