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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2013 alle ore 16:48.

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BRUXELLES – Le monete dei mercati emergenti stanno crollando e le loro banche centrali sono ora impegnate a implementare politiche di austerità per stabilizzare i mercati finanziari dei propri paesi. Ma chi dobbiamo incolpare per questa situazione?

Qualche anno fa, quando la Federal Reserve si è imbarcata nell’ennesima manovra di quantitative easing, alcuni leader dei mercati emergenti hanno protestato a gran voce. Hanno infatti visto gli acquisti senza limiti temporali dei titoli a lungo termine da parte della Fed come un tentativo di architettare una svalutazione competitiva del dollaro. Inoltre sono preoccupati in quanto delle condizioni monetarie troppo vantaggiose negli Stati Uniti potrebbero liberare un flusso di capitali vaganti facendo salire il loro tasso di cambio. Ciò, temono, potrebbe comportare non solo una diminuzione della loro competitività nelle esportazioni ed una spinta verso il deficit dei loro conti esterni, ma li potrebbe anche esporre a delle dure conseguenze di fronte ad un arresto improvviso di flussi di capitale in seguito ad un’inversione di tendenza da parte dei policy maker statunitensi.

A prima vista, questi timori sembrano ben fondati. Come riassume il titolo di uno studio recente pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale Il semplice annuncio che la Fed potrebbe diminuire le operazioni della sua politica monetaria anticonformista ha portato all’attuale fuga di capitali dai mercati emergenti.

Ma questa prospettiva non prende in considerazione la vera ragione per cui i capitali sono affluiti nei mercati emergenti negli ultimi anni e la ragione per cui i conti esterni di un gran numero di questi paesi sono andati in deficit. Il vero colpevole è l’euro.

Dietro a queste grandi oscillazioni dei non ci possono essere state le operazioni di quantitative easing, in quanto il deficit esterno dell’America non è cambiato in modo significativo negli ultimi anni. Ciò è anche quello che ci si dovrebbe aspettare sulla base delle teorie economiche, secondo cui in un contesto in cui si è vicini alla trappola della liquidità, l’impatto di politiche finanziarie anticonformiste sulle condizioni finanziarie e sulla domanda è tendenzialmente modesta.

E’ pur vero che i modelli disponibili, sempre che sia vero che una politica monetaria espansionistica abbia effettivamente un impatto sull’economia, indicano che il suo effetto sul conto corrente non dovrebbe essere consistente in quanto qualsiasi effetto positivo sulle esportazioni derivato da un tasso di cambio più debole dovrebbe essere compensato da un numero maggiore di importazioni legato all’aumento della domanda interna.

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