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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2013 alle ore 14:48.

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WASHINGTON, DC – Fino a poco tempo fa, c'era ampio consenso sul fatto che questo sarebbe stato il secolo dei paesi emergenti. Tuttavia, la reazione dei mercati finanziari all'annuncio della Federal Reserve, nel maggio scorso, del possibile ridimensionamento delle sue politiche monetarie non convenzionali ha portato molti analisti a porsi delle domande sui tempi di crescita di questi mercati. Durante gli nel mese corrente, le prospettive dei paesi emergenti saranno al centro di un acceso dibattito.

Fino a metà 2013, il FMI e la Banca Mondiale avevano previsto, per il prossimo decennio, una crescita del Pil aggregato pro capite nei paesi emergenti e in via di sviluppo superiore di quasi tre punti percentuali rispetto a quella dei paesi avanzati. Secondo l’opinione dei più, una sostanziale differenza in termini di crescita pro capite si sarebbe protratta ben oltre i prossimi dieci anni, e l’unico punto su cui bisognava trovare un accordo era l'entità del vantaggio di crescita dei paesi emergenti.

Le previsioni di per la Cina, e di per i paesi emergenti e in via di sviluppo, erano le più ottimistiche. Altri economisti, come , sono sempre stati più cauti, sostenendo che, in gran parte, la trascorsa impennata di crescita nelle principali economie emergenti e in via di sviluppo è dipesa da un periodo di "recupero" tecnologico nel settore manifatturiero, che però aveva raggiunto il suo limite e non poteva facilmente estendersi all’immenso settore dei servizi o ad altri ambiti economici.

Come si è visto più avanti, l'annuncio del presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, di una possibile riduzione, entro la fine del 2013, del quantitative easing (QE) – l'impegno all'acquisto mensile, per un periodo illimitato, di attività di lungo termine per un valore pari a 85 miliardi di dollari – è stato seguito da una "mini crisi". I mercati azionari e le valute di molte economie emergenti hanno registrato un notevole calo, che si è subito tradotto in titoli di apertura che annunciavano la fine del boom dei rispettivi mercati.

In verità, da allora il valore di molte attività dei paesi emergenti ha recuperato terreno, al punto che, nel mese di settembre, la Fed ha fatto marcia indietro sull'imminente riduzione del QE. Ormai, però, l'umore era cambiato, e di conseguenza la proiezione "media" delle prospettive di crescita delle economie emergenti è mutata. In particolare, gli economisti latinoamericani appaiono pessimisti. Dopo una revisione al ribasso delle sue previsioni di crescita per i paesi emergenti nel luglio scorso, il FMI è pronto a ripetere l’operazione (anche se moderatamente) in vista degli incontri annuali.

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