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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2013 alle ore 18:54.

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Nel film inaugurale dell'ottava edizione del festival del cinema di Roma si ride, si riflette, ci si commuove. E a tratti ci si specchia. «L'ultima ruota del carro» è una pellicola imperfetta ma generosa, proprio come il suo protagonista: Ernesto, interpretato da un efficace Elio Germano. Che passa da un lavoro all'altro (tappezziere, cuoco d'asilo, traslocatore di opere d'arte, autista, comparsa del cinema) senza farsi cambiare più di tanto, se non nel look, dagli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi 40 anni di storia italiana e che vediamo scorrere sullo sfondo. A differenza dell'amico d'infanzia Giacinto (Ricky Memphis) attratto a più riprese, e in più stagioni, dalla promessa di denaro facile.

Per il suo ritorno sugli schermi a due anni di distanza dal terzo capitolo di «Manuale d'amore», Giovanni Veronesi, resta sul suo terreno più congeniale (la commedia) ma prova a elevarne il livello. Per farlo sceglie di raccontare una storia parzialmente vera – quella di Ernesto Fioretti, romano, autista di produzione e co-sceneggiatore del film insieme a Ugo Chiti, Filippo Bologna e lo stesso Veronesi – anziché affidarsi ai bozzetti di italiani più o meno tipici delle sue ultime opere, come «Manuale d'amore» appunto e «Italians». Nato all'inizio degli anni 60 nella capitale è lì che il protagonista trascorre tutta la sua esistenza. Nel (vano) tentativo di affrancarsi dal ruolo di "ultima ruota del carro" che il padre gli affibia in una delle primissime scene.

Ne viene fuori un film godibile e divertente. Ben diretto e ben fotografato. Con un cast affiatato e le location azzeccate. Un film che alla fine si rivela però anche imperfetto. Il tentativo di alternare toni e situazioni tipiche da commedia con momenti più drammatici infatti non sempre riesce. E a pagarne le conseguenze è il ritmo. Dopo un inizio scoppiettante la storia rischia ogni tanto di sedersi. Penalizzata forse dalla scelta di soffermarsi su tanti, troppi eventi della nostra storia recente (dall'uccisione di Aldo Moro al trionfo nei mondiali di calcio dell'82, da Tangentopoli all'irruzione sulla scena politica di Silvio Berlusconi) e dalla decisione di arrivare fino all'oggi. Con il risultato di portare la lunghezza dell'opera a sfiorare le due ore. Forse eccessive per «raccontare le vicende di una persona normale», come Veronesi ha definito la sua idea di partenza in conferenza stampa.

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