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Finanza e Mercati In primo piano

Per l'euro la tregua è già finita

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2010 alle ore 08:53.

Che i mercati abbiano i nervi tesi a volte lo si capisce anche dalle piccole cose. Il salvataggio di Cajasur, per esempio, non sarebbe di per sé evento da spaventare la finanza mondiale: in fondo gli asset della piccola cassa di risparmio andalusa ammonterebbero soltanto allo 0,6% dell'intero sistema bancario spagnolo, quindi poco più di una goccia nell'oceano finanziario mondiale. Eppure i contraccolpi dell'operazione condotta sabato dalla Banca di Spagna non hanno mancato di farsi sentire, anche perché si teme che il caso Cajasur non sia proprio isolato.

Così l'euro ha interrotto la serie di due sedute di recupero consecutive, evento più unico che raro in questo ultimo mese. Questa mattina la valuta comune è scesa sotto 1,22 dollari nei mercati europei. Contro lo yen un vero tracollo: a Tokyo l'euro è precipitato a quota 109.99, per la prima volta sotto quota 110 dal 30 novembre 2001 (109,89). Questo dopo i cali di ieri: la valuta comune ha infatti ripiegato sotto quota 1,24 dollari (1,2380), oltre due «figure» in meno rispetto ai massimi di seduta di venerdì scorso e perso terreno anche sulle altre valute, scendendo di nuovo a 111,89 yen (da 113,16) e 1,4351 franchi svizzeri (1,4430). Non che il movimento fosse del tutto inaspettato, visto che a detta degli operatori il recupero dei giorni scorsi era dovuto più che altro all'effetto deterrente esercitato sui ribassisti dalle voci (mai confermate e per certi versi pure improbabili) di un intervento della Bce a sostegno dell'euro. Ma appare comunque evidente che il caso Cajasur (oltre alla giornata semifestiva, che ha contribuito a ridurre i volumi) abbia dato agli investitori un motivo in più per tornare a vendere la divisa europea.


Quando si parla di tensioni, però, gli operatori guardano sempre con maggior attenzione a un altro mercato, quello interbancario in cui gli istituti di credito si scambiano il denaro. Anche qui la situazione è mutata a partire dai primi giorni di aprile quando, dopo un anno e mezzo di discesa pressoché ininterrotta, i tassi hanno iniziato a risalire dai minimi storici. Per ora si tratta di ben poca cosa: l'Euribor a un mese veniva indicato ieri allo 0,426% (lo stesso valore di venerdì e tre centesimi in più rispetto ai minimi storici) e la scadenza 3 mesi allo 0,695% (0,634% il record).

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Ma in un mercato in cui tutto si misura con il bilancino gli analisti guardano con un sospetto anche un altro valore: lo scarto fra l'Euribor 3 mesi e l'overnight indexed swap (Ois), il tasso «free risk». Anche in questo caso il differenziale è aumentato (31 punti base rispetto ai 22 di qualche settimana fa) e testimonia la minor fiducia tra le banche stesse, che in una situazione di incertezza generale (e qui il caso Cajasur non contribuisce certo a rasserenare gli animi) non sempre sono disposte a prestarsi il denaro e anzi preferiscono lasciarlo in deposito presso la Bce stessa al tasso decisamente poco attraente dello 0,25 per cento.
Ogni paragone con le settimane successive al crack-Lehman, quando l'interbancario era praticamente «congelato» è tuttavia per il momento del tutto improprio. Non solo in quei giorni i tassi Euribor viaggiavano oltre il 5% e lo spread con gli Ois era salito a 180 punti base, ma mancavano anche tutte le misure che nel frattempo la Bce ha messo e continua tuttora a mettere in atto per garantire la liquidità necessaria al funzionamento degli ingranaggi. Proprio nell'ultima asta di rifinanziamento a 8 giorni sono state però 81 le banche ad attingere alla fonte di Francoforte chiedendo 104 miliardi di euro (5 in più della settimana precedente), a testimonianza del fatto che qua e là esiste qualche granello che per ora scorre via, ma che alla lunga potrebbe anche inceppare l'ingranaggio.


Da tempo ormai gli operatori segnalano del resto un mercato interbancario che funziona a due velocità: le grandi banche non trovano problemi a finanziarsi, mentre le piccole (o quelle meno solide) hanno qualche difficoltà e mettono apprensione. Qualche preoccupazione in più, inoltre, gli istituti la hanno quando chiedono dollari, anziché euro. Non a caso le recenti tensioni si sono fatte sentire soprattutto sul Libor in dollari (il «cugino» dell'Euribor, calcolato dalla British Bankers' Association) che ieri, nella scadenza a 3 mesi, è salito oltre quota 0,50% (0,5097%) per la prima volta dal luglio 2009, raddoppiando così il valore rispetto a due mesi fa.


Ed è soprattutto per cercare di alleviare queste difficoltà che la Bce ha ripristinato due settimane fa le aste in dollari. Nelle prime due operazioni di questo tipo non si è però vista la ressa che molti attendevano: finora sono stati assegnati poco più di 10 miliardi di dollari a non più di 8 istituti per volta. Forse la ricerca di fondi di finanziamento non è soltanto un problema delle banche europee.
m.cellino@ilsole24ore.com

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