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Finanza e Mercati In primo piano

Le cinque banche italiane promosse dagli stress test. In Europa sette bocciate su 91

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 luglio 2010 alle ore 18:05.

Lo stress, almeno per questo weekend, sembra terminato. I dati tanto attesi dei test sulla resistenza e sulla solidità patrimoniale delle banche europee sono arrivati. I numeri, ad una prima valutazione, parlano abbastanza chiaro: su 91 istituti di credito cui è stato fatto l'esame "sotto sforzo", sono sette quelli bocciati. Tra questi, la tedesca Hypo Real Estate, la greca AteBank. A cui poi si aggiungono le cinque casse di risparmio spagnole Diada, Cajasur, Espiga, Unnim e Banca Civica (si legga qui l'elenco completo).

L'Italia promossa
C'è subito da dire che le cinque banche italiane oggetto della valutazione hanno passato il tagliando. UniCredit, Intesa Sanpaolo, Ubi banca, Banco popolare e Mps non hanno bisogno di rafforzare il patrimonio perché sono in grado di fronteggiare un peggioramento dell'economia, nello scenario negativo prospettato dal Cebs, il Committee of european banking supervisors, che in collaborazione con la Bce, le singole autorità di vigilanza nazionale e le banche stesse, ha condotto i "crush test". Un dato che il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti giudica «molto buono e positivo, non solo perché indica la solidità del sistema bancario italiano, ma anche perché indica la solidità dell'Italia».

I risultati nel dettaglio
Guardando meglio i numeri delle società di casa nostra, ci si accorge che nel peggiore scenario prospettato al 2011, il Tier 1 ratio di UniCredit si attesterebbe al 7,8%, quello di Intesa Sanpaolo al 8,2%; livello del 7% per il Banco popolare mentre Ubi banca sarebbe al 6,8%; infine Mps potrebbe vantare un Tier 1 del 6,2 per cento. Si tratta di numeri che, peraltro, permettono alle nostre banche di migliorare la propria posizione nella classifica europea post-stress (qui il ranking completo): Piazza Cordusio, per esempio, sale dal 70° posto (pre-test) al 53esimo; il gruppo guidato da Corrado Passera, invece, balza dal 78° al 46° posto.

L'esposizione delle italiane verso il debito sovrano
Dagli stress test sono emerse, inoltre, le esposizioni delle banche italiane verso i debiti degli stati. Andiamo con ordine. Per UniCredit, l'esposizione netta verso la Grecia è stimata in 801 milioni, mentre Spagna e Portogallo "pesano" rispettivamente per 537 e 186 milioni. Passando al gruppo Intesa Sanpaolo, si può notare che l'esposizione lorda verso Atene é pari a 828 milioni, mentre ammonta a 556 milioni quella nei confronti della Spagna (sono 156 milioni quelli sull'Irlanda). Il Banco Popolare, invece, ha indicato un'esposizione netta verso l'Italia, al 31 marzo 2010, pari a 8,28 miliardi di euro, verso la Grecia per 89 milioni e verso la Spagna per 151 milioni. Mps, dal canto suo, ha in portafoglio titoli di Stato della Grecia per 35 milioni di euro e della Spagna per 116 milioni; i bond dello Stato italiano ammontano a 27,75 miliardi di euro. La banca senese ha inoltre titoli del Portogallo per 93 milioni e bond tedeschi per 103 milioni.

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I ratio delle italiane nella fascia medio-bassa
Ritornando alla solidità finanziaria c'è da rilevare che, nel confronto con le altre banche europee i coefficienti patrimoniali sotto stress degli istituti italiani sono situati in una fascia medio bassa. Ma ciò non deve stupire. Bankitalia rileva che: «i coefficienti patrimoniali di partenza delle grandi banche italiane (…) sono mediamente inferiori. Sul divario influiscono sia una regolamentazione prudenziale nazionale che pone limiti più stringenti (…) sia consistenti operazioni di ricapitalizzazione pubblica cui hanno beneficiato alcune grandi banche europee». A ciò deve anche aggiungersi il fatto che, nella valutazione dei ratio sulla solidità patrimoniale, la tradizionale erogazione del credito - fortemente presente nel business dell nostre banche - è penalizzata. Paradossalmente, quindi, un'attività più sicura, rispetto all'investment banking e alla finanza, è considerato in maniera negativa.. Un elemento che non potrà non essere preso in considerazione nelle nuove regole di Basilea III.

Draghi: «Dai test più fiducia e trasparenza ai mercati»
Per questo la situazione va letta nelle sue varie sfaccettature. E, secondo via Nazionale, i risultati «confermano la capacità delle nostre banche di assorbire l'impatto di un significativo deterioramento delle attuali condizioni macroeconomiche e di mercato». Di più. Quello che rileva – fanno sapere da Bankitalia - è la variazione tra il Tier 1 iniziale e quello che «salta fuori» nell'ipotesi dello stress test: ebbene il delta in questo caso, è in linea con quello degli altri grandi istituti del vecchio Continente.

In serata il governatore Mario Draghi ha sottolineato come i risultati dell'esame sulle banche siano «un importante contributo per sostenere la fiducia nel sistema bancario europeo e rafforzare la resistenza e solidità del sistema finanziario mondiale». Inoltre Draghi ha ribadito l'importanza di questa operazione «nel processo per migliorare la trasparenza sulle esposizioni rischiose, nel supportare il funzionamento del mercato e nel facilitare il riordino dei bilanci delle banche».

Perché lo stress test?
Fin qui i dati. Ma perché gli stress test? Il ragionamento che sta dietro a queste tipologie di azioni si basa su una duplice considerazione. In primis, c'è la premessa a qualsiasi attività bancaria: un istituito deve avere messo un gruzzoletto da parte a copertura dei rischi per il credito concesso ai debitori. È il cosiddetto patrimoni di vigilanza che si compone del patrimonio di base (Tier 1) e di quello supplementare (Tier 2). Secondo le indicazioni di Basilea II il patrimonio di base (Tier 1), per evitare che la banca non sia in grado di affrontare problemi creditizi, non deve mai essere inferiore alla percentuale del 4% (Tier 1 ratio) di tutti i suoi asset ponderati con il rischio.

Fin qui l'ipotesi generale. Per valutare lo stato di salute delle banche, su cui nel Vecchio Continente molti nutrono dubbi, sono stati per l'appunto pensati gli stress test. Cioè, è stato ipotizzato uno scenario fortemente negativo, valutandone gli effetti sul Tier 1 ratio delle singole società. Con una particolarità: nell'ipotesi negativa considerata, il Tier 1 ratio non deve scendere sotto il 6 per cento.

Lo scenario macroeconomico è il double dip
Ma vediamo in particolare come funziona questo test. Sono state individuate due variabili principali. La prima riguarda un peggioramento dello scenario macroeconomico nell'Unione europea: è ipotizzato che, nel bienno 2010-2011, il Pil cresca il 3% in meno rispetto alle attuali stime. Il che significa, in parole semplici, che l'ipotesi "stressata" è la ricaduta in recessione.

Salgono i tassi di mercato
La seconda è che, all'interno della double dip, si verifichi uno shock sulla curva dei rendimenti. Cioè, i tassi di mercato a tre mesi che, alla fine del 2011, salgono dell'1,25% e quelli a 10 anni dello 0,75 per cento. Su questa ipotesi di base è stato, poi, previsto un ulteriore peggioramento della situazione legata al particolare rischio di credito di ogni singolo stato.

Per l'Italia, per esempio, si è ipotizzato una svalutazione dei titoli di stato che comporti una crescita del rendimento, al 2011, dell'emissione a 5 anni al 4,8% contro la stima non "stressata" del 3,19 per cento . Rispetto ad Atene, invece, si è considerato un rendimento al 13,87% (6,28% senza stress); mentre, per il "sicuro" bund tedesco, il balzo dello yield è teorizzato al 3,5 per cento. Oltre a queste variabili, i modelli matematici per valutare la forza delle banche hanno anche preso in considerazione, tra l'altro, un calo dei mercati azionari del 20% e l'aumento della volatilità.

Le polemiche sulla metodologia
Nei giorni recenti, molte sono state le polemiche rispetto alla reale efficacia di un test simile. Si è obiettato, per esempio, che usare il Tier 1, invece del più solido Core Tier 1, fosse un errore. Ma da Bankitalia hanno sottolineato che la differente normativa tra i paesi dell'Europa nel definire il Core Tier 1 ha impedito l'utilizzo di quest'ultimo ratio. Insomma non si poteva fare altrimenti.

Di più: non pochi si sono domandati come fosse possibile, visto lo scoppio del problema del debito sovrano in Europa, che le banche del vecchio Continente uscissero, come è stato, da questo stress test senza le ossa rotte. La risposta può essere che, mentre negli Usa (dove le banche bocciate sono state molte di più) la stessa operazione è stata realizzata quando ancora le ricapitalizzazioni non erano partite. Al contrario, da questa parte dell'Atlantico non poche società già da tempo hanno chiesto agli azionisti di mettere mano al portafoglio. Una valutazione plausibile che, tuttavia, non tiene in considerazione come le banche americane fossero comunque già state oggetto di numerosi, e ingenti, iniezioni di denaro pubblico.

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