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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2010 alle ore 08:19.
Da questa parte dell'Atlantico i dati, peraltro consuntivi (cioè che guardano al passato), sul Pil tedesco del secondo trimestre 2009 ( +2,2%) sono stati una bella iniezione di fiducia. Sull'altra sponda dell'oceano, invece, i recenti numeri hanno confermato i timori sulla ripresa: lo scivolone dell'indice di Philadelfia (-7,7 in agosto) e l'occupazione (i sussidi sono tornati a quota 500mila) sembrano non permettere troppi voli pindarici. Così, diversi investitori si domandano: in un simile contesto, quale il futuro delle Borse specia alla luce della recente fuga da Wall Street?
«Il quadro tecnico di fondo per l'S&P500 - afferma Maurizio Milano, responsabile analisi tecnica gruppo Banca Sella - rimane fragile. Motivi fondamentali validi per supportare una crescita sana nei prossimi mesi non se ne intravedono. L'unico vero driver di una salita delle Borse, e delle commodity, rimane la liquidità». In tal senso, da un punto di vista puramente tecnico, «solo il superamento del picco raggiunto il 21 giugno scorso, cioè la resistenza a quota 1.130, potrebbe essere il segnale che il paniere americano può riprendere realmente vigore nelle prossime settimane».
Tra polica ultra-espansiva e non-ripresa
Ma sarebbe, evidentemente, uno spunto un po' estemporaneo. «Le banche centrali - sottolinea Milano - sono state chiamate a compensare le politiche fiscali restrittive varate dai governi che, a loro volta, vogliono mostrare di saper tenere sotto controllo le finanze pubbliche. Una situazione che ha costretto al prolungamento delle politiche monetarie ultra-espansive, tanto che di exit-strategy non si parla più, o quasi». In questo quadro, la mancanza di una vera ripresa di Main street (non drogata dagli incentivi governativi) , comporta una debolezza per le stesse Borse.
«Il fatto che i prezzi sull'obbligazionario - aggiunge Milano - rimangano così schiacciati è poprio la conferma della scarsa solidità dell'economia reale. L'attività di carry sulla curva dei rendimenti, cioè l'indebitamento a costo zero sul breve e il contestuale investimento sul lungo, è un fattore di rischio. Una variabile instabile che le politiche ultra-espansive non fanno altro che alimentare. Di più: tassi d'interesse così bassi per troppo tempo, incentivano la ricerca di rendimenti altarnativi rapidi, sfruttando la speculazione». Insomma, l'instabilità sembra essere il minimo comun denominatore dei mercati nel prossimo futuro.