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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2010 alle ore 09:46.
La Libia sotto i riflettori, e non solo per la visita di stato del colonnello Gheddafi. La Consob vuole vederci chiaro sull'ultimo blitz estivo che ha portato i libici a salire al 7% del capitale di UniCredit, sebbene la partecipazione sia spaccata tra due entità formalmente distinte, la Banca centrale libica che detiene il 4,99% e la Libyan investment authority, il fondo governativo che a inizio agosto ha comunicato di aver superato la soglia rilevante con una partecipazione del 2,075%.
Alla Lega piace poco l'idea che Tripoli sia diventato di fatto il primo azionista e sul tema, prendendola alla larga, è tornato ieri il sindaco di Verona, Flavio Tosi (il Comune esprime diversi consiglieri nella Fondazione Cariverona, col 4,98% primo azionista italiano del gruppo guidato da Alessandro Profumo). «Dobbiamo vedere il piano di riorganizzazione di UniCredit e la gestione degli esuberi previsti, cioè come in concreto verranno fatti, ma soprattutto a noi interessa dove verranno fatti», ha messo le mani avanti Tosi, intervendo a Radio 24.
«I piani strategici li decide il consiglio di amministrazione, ma se lì c'è una presenza rilevante di soci poco legati al territorio, questi potrebbero avere delle strategie più ciniche e meno disponibili a mediare le istanze con il territorio», ha aggiunto il sindaco veneto. Con evidente riferimento ai soci libici visto che l'altro esponente della finanza araba, Aabar investments, il fondo sovrano di Abu Dhabi, titolare del 4,99% del capitale, non ha rappresentanti nel board e neppure, a quanto risulta, li avrebbe chiesti.
A far da contraltare le dichiarazioni del ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ha assicurato che l'Italia garantirà la «massima trasparenza di tutte le partecipazioni» della Libia nelle società della Penisola. «Abbiamo istituito proprio al ministero degli Affari esteri un comitato strategico per la presenza dei fondi sovrani» ha ricordato il titolare della Farnesina. «Vogliamo garantire che le procedure siano trasparenti e conformi alle regole internazionali. Lo abbiamo sempre fatto, ad esempio con il Qatar e il Kuwait e lo faremo anche con la Libia».